Attraverso un uso adeguato dell’intelligence si ampliano gli spazi democratici e culturali del nostro Paese. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence
Lo storico inglese Christopher Andrew sostiene che “l’intelligence è la dimensione mancante della storia”. E non dimentichiamo che c’è sempre un uso politico della storia, come evidenziano le vicende della commemorazione di ieri sulla strage di Bologna.
All’ordine del giorno c’è la decisione del presidente del Consiglio Mario Draghi di rendere pubblici gli atti custoditi negli archivi dei Servizi relativi alla Loggia P2 e a Gladio, due vicende che hanno segnato profondamente la storia politica del nostro Paese.
Nel primo caso ci furono addirittura le dimissioni del governo, spianando la strada al primo esecutivo della Repubblica non a guida democristiana, presieduto da Giovanni Spadolini, che aveva una dimestichezza culturale sulla massoneria sicuramente superiore a quella del suo predecessore Arnaldo Forlani. Nella circostanza di Gladio, venne richiesta l’incriminazione del capo dello Stato Francesco Cossiga.
Va ricordato che per entrambe le vicende si sono espressi tribunali della Repubblica con sentenze passate in giudicato: la P2 non era un’organizzazione eversiva e l’esistenza di Gladio rispondeva legalmente ad accordi internazionali del nostro Paese.
Sono significativi i provvedimenti di Draghi, che, come tutti hanno notato, seguono le direttive di Romano Prodi del 2008 e di Matteo Renzi nel 2014, entrambe rese possibili dalla riforma dell’intelligence del 2007 che poneva un limite per l’apposizione del segreto di Stato.
Infatti, dalla conoscenza e soprattutto dallo studio di questi atti può provenire una più serena valutazione delle attività dell’intelligence nel nostro Paese, soprattutto di quella nazionale ma non solo, in relazione a vicende ancora dolorose e complicate. Soprattutto sono documenti che vanno comparati con gli atti desecretati anche dagli altri servizi esteri, a cominciare da quelli statunitensi e britannici.
In ogni caso, sono documenti che vanno studiati senza pregiudizi ideologici per avvicinarsi a una possibile e sempre sfuggente verità storica.
Il provvedimento di Draghi e soprattutto il dibattito che si è aperto contribuiscono alla diffusione di una più ampia conoscenza dell’intelligence intesa quale strumento di difesa degli interessi nazionali, come le vicende degli hacker che hanno attaccato la Regione Lazio dimostra al di là di ogni dubbio.
Infatti, attraverso una più approfondita conoscenza dell’intelligence si ampliano gli spazi democratici e culturali del nostro Paese.