Presidiare i processi regolatori, essere attivi nei progetti europei, lavorare a soluzioni tecnologiche che superino la scala nazionale. La transizione digitale per l’Ue e l’Italia può essere una tempesta, o la tempesta perfetta. L’analisi di Patrizio Caligiuri, direttore Affari Istituzionali e Comunicazione PagoPA e Cristiano Zagari, International Affairs Specialist PagoPA
È di pochi giorni fa la notizia che la Cina si sia data per la prima volta una legge sulla privacy.
Una scelta, quella del Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo Cinese, che sembra racchiudere due ordini di esigenze diverse: una legata a logiche di politica interna (per quanto si possa ridurre a effetti interni una decisione che riguarda una nazione popolosa ed estesa come la Cina) e una legata a ragioni di politica estera.
Premesso che l’esigenza di politica interna di calmierare la crescita delle Big Tech locali ai fini del mantenimento degli equilibri di potere qui interessa meno; risulta, invece, molto utile per l’attuale economia del ragionamento concentrarsi sulla motivazione esterna che sembra muovere le autorità di Pechino, ossia presidiare concretamente il tavolo regolamentare internazionale non lasciando il monopolio del dibattito all’Europa, come peraltro stanno provando a fare gli Stati Uniti all’interno del cantiere transatlantico del Privacy Shield, e al contempo restare “sostenibili” verso gli standard di un mercato – quello europeo – di inevitabile interesse.
Lo chiamano “Effetto Bruxelles” e riguarda la capacità da parte delle istituzioni europee di condizionare, mediante la leva regolamentare, gran parte dell’economia mondiale.
Nell’ultimo decennio, mentre pur imperversavano un dibattito politico caratterizzato da spinte centrifughe e una percezione di indebolimento del rapporto tra cittadini e progetto europeo, Bruxelles acquisiva una inedita centralità mondiale come luogo di creazione di modelli regolatori riuscendo non di rado a condizionare, grazie alla dimensione e importanza del suo mercato, le scelte di altri attori globali.
L’Unione Europea, forte di un importante mandato politico (volto a salvaguardare l’integrità dei propri consumatori e del proprio mercato interno) di strumenti (istituzioni, regolamentazione e buone pratiche) affinati da un vissuto storico ultra-settantennale e di una capacità di trasmettere gli indirizzi politici e normativi in 24 lingue diverse (di cui inglese, francese e spagnolo) risulta essere un divulgatore internazionale efficace in quanto a modelli di governance, a buone pratiche e soprattutto a certezza di diritto.
È possibile parlare a riguardo di un vero e proprio soft power europeo capace di incidere e, in parte, di declinare transizione ecologica, transizione digitale e standard legati alla salute e al sociale; soft power favorito anche dalla capacità da parte di Bruxelles di esercitare diplomazia economica e commerciale sia in ambito bilaterale che multilaterale.
Un approccio globale, quello europeo, che non manca di mettere pressione in tutte le aree politiche e commerciali più importanti del Pianeta.
Venendo al settore digitale, l’“Effetto Bruxelles” potrebbe avere un peso straordinario nel ridisegnare i prossimi equilibri tra mercato e diritti, e per questo genera una particolare attenzione da parte di potenze globali e multinazionali del settore.
La transizione digitale da cui siamo attraversati rappresenta un terreno di elezione su cui si misura la competitività dei sistemi economici e che condiziona sempre più anche i modelli sociali in termini di inclusione/esclusione, accesso a diritti e servizi.
In questo contesto, la rinnovata comprensione delle leadership europee dell’urgenza di recuperare terreno (molto) sulla competitività tecnologica rispetto a Cina e Stati Uniti, unita alle evidenze sempre maggiori della strategicità dell’economia dei dati, stanno alimentando una marcata e inedita azione regolatoria europea su questo versante, come del resto testimoniano le scelte del Next Generation EU.
Risale a meno di un anno fa la presentazione del Digital Service Act e del Digital Market Act che si aggiungono alla proposta del Data Governance Act: le proposte della Commissione sono parte di una strategia complessiva, descritta nella Comunicazione del 19 febbraio 2020 “Shaping Europe’s digital future”.
Inoltre, tra gli altri dossier di maggiore rilievo, risale al giugno scorso la proposta di riforma del regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services) per le transazioni elettroniche nel Mercato europeo comune, come pure è partito ormai il progetto GAIA X per la realizzazione di un’infrastruttura europea di cloud e di dati.
Siamo dunque nel pieno di un grande processo di riforma del settore digitale che accompagna investimenti inediti nel settore e che rappresenta una finestra di opportunità rispetto alla quale occorre la profonda consapevolezza della posta in gioco anche per il nostro Paese.
Le scelte che si faranno, come sempre, possono vedere il nostro sistema attore protagonista o spettatore, ma ciò non è indifferente per i nostri interessi strategici. Occorre uno sforzo di sistema dove soggetti istituzionali, attori pubblici e privati facciano, insieme, ciascuno la propria parte in modo sinergico e nell’interesse generale della competitività del nostro sistema Paese.
Presidiare i processi regolatori, essere attivi nei progetti europei, lavorare a soluzioni tecnologiche che superino la scala nazionale, intensificare il dialogo e lo scambio di buone pratiche a livello transnazionale, sperimentare nuove tecnologie nel quadro dei finanziamenti comunitari diventano, ora più che mai, condizioni indispensabili.
Pensare l’innovazione tecnologica e digitale al servizio dei cittadini in scala europea, progettare soluzioni e servizi in una dimensione sovranazionale può contribuire in modo attivo a formare l’“Effetto Bruxelles” nel definire nuovi standard che assicurino competitività, qualità dei servizi e diritti dei cittadini.
In sintesi gli attuali cambiamenti globali ci mettono al centro di una tempesta dopo la quale tutto sarà diverso, sta a noi (al Paese) trarre vantaggio dall’”Effetto Bruxelles” in modo tale che la tempesta diventi una “tempesta perfetta”.