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Elezioni in Germania, lezioni per l’Italia

Di Alessandro Fontana

Il sistema tedesco ha prodotto un numero di legislature e governi pari alla metà di quelli italiani, con una stabilità inimmaginabile per il sistema della nostra repubblica. Tra legge elettorale e predisposizione individuale, cosa si può imparare dal vicino Stato tedesco

L’estate 2021 è stata benevola con l’Italia: trionfo a Eurovision, finale di Wimbledon, vittoria agli Europei di calcio e record di medaglie alle Olimpiadi. Secondo illustri economisti, tutto questo ben di Dio dovrebbe valere 0.x% del Pil. Vedremo. C’è poi la pioggia di soldi Europei che sta per arrivare grazie al Pnrr. Vedremo se questo insieme di accadimenti riuscirà a far emergere l’economia italiana dalla crisi strutturale in cui si trova da circa 30 anni.

Nel frattempo, a Nord delle Alpi, la democrazia si appresta a celebrare il suo rito più importante: il 26 settembre si terranno le elezioni federali tedesche, per eleggere i membri del 20° Bundestag. Contestualmente, si terranno anche le elezioni statali a Berlino e nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore. La ricorrenza elettorale offre spunti di riflessione (“lessons learned” come dicono i laureati alla “London School of Economics”) per l’Italia e la sua classe politica.

La Germania ha una legge elettorale federale (Bundeswahlgesetz) di tipo proporzionale, con uno sbarramento del 5%: i partiti che non raggiungono tale soglia non hanno rappresentanza in Parlamento. La legge elettorale tedesca rende difficile il governo di un singolo partito, secondo un principio che esalta il bilanciamento dei poteri costituzionali, tema a cui un Paese che ha vissuto l’esperienza nazista non può non essere particolarmente sensibile. Dopo le elezioni, i partiti sono quindi costretti a trovare un accordo per governare in diverse “Koalitionen”: CDU-CSU/SPD, SPD/verdi, ecc.

Ebbene, con questa legge elettorale, la Germania ha avuto neldopoguerra 24 governi ed un numero di Kanzler molto inferiore (si pensi che Angela Merkel ha presieduto ben quattro governi di coalizione). Le crisi di governo con fine prematura della legislatura sono eventi rarissimi (se non del tutto inesistenti) nella politica tedesca. La stessa Bundeswahlgesetz è piuttosto stabile: elaborata per la prima volta nel 1949, ha subito modifiche significative fino al 1957, quando si è cristallizzata in una forma simile a quella attuale. Negli ultimi 60 anni ha subito leggeri ritocchi, che non ne hanno alterato i meccanismi fondamentali.

Attraversiamo il Brennero. Attualmente in Italia è in vigore “un sistema elettorale misto a separazione completa, ribattezzato Rosatellum bis: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di sbarramento” (Wikipedia). Lungi dall’essere un costituzionalista, credo di poter affermare che si tratti di una legge abbastanza simile a quella tedesca: la quota proporzionale è dominante e non esistono meccanismi per garantire la governabilità. Ebbene, questa legge elettorale ha già prodotto ben tre governi nella legislatura in corso: Conte I, Conte II, Draghi.

Una legge elettorale proporzionale era in vigore anche durante la Prima Repubblica, periodo caratterizzato da continue crisi di governo e rimpasti vari. Nel turbinio dei governi che si alternavano alla guida del Paese, la legge elettorale sembrava costituire un sistema di riferimento assoluto, al pari delle “stelle fisse” di Newton. Nella Seconda Repubblica si affermò l’usanza, da parte della maggioranza, di modificare la legge elettorale in modo da ridurre le probabilità dell’opposizione di vincere le elezioni. Questa usanza ha prodotto una serie di leggi elettorali (Porcellum,  Mattarellum, ecc.), che hanno avuto l’effetto di rendere la politica italiana sicuramente meno noiosa che in altri Paesi, ma non meno instabile: 66 governi in totale dal 1945, più del doppio rispetto alla Germania.

Oltre che dei governi, la stabilità è una caratteristica anche dei partiti tedeschi, che sono praticamente sempre gli stessi (e con gli stessi nomi) da decenni: CDU-CSU, SPD, FDP, verdi, ecc. La creazione e/o scomparsa di partiti politici costituisce un fenomeno raro. Esempi in tal senso sono dati dal partito dei Pirati e da Alternative fuer Deutschland: si tratta però di partiti relativamente marginali, che non hanno mai fatto parte di una coalizione di governo.

A Sud delle Alpi, la lista dei partiti che hanno visto il Parlamento dall’interno è molto più lunga, anche perché nomi e sigle cambiano relativamente spesso, per effetto di operazioni di rebranding (es: PCI => PDS => PD; Lega Nord => Lega Salvini Premier). Scissioni e fusioni sono all’ordine del giorno (si pensi al Partito democratico). Alcuni partiti sperimentano oscillazioni estreme nei favori elettorali (vedasi il M5S) ed i governi sono naturalmente instabili (“ribaltone”, “Enrico stai sereno”, rottura Lega / M5S, ecc.).

Qual è quindi la lesson learned? C’è stato un tempo in cui credevo che con la legge elettorale “giusta” l’Italia avrebbe avuto governi stabili. Questa fantasia è ormai svanita, lasciando posto alla convinzione che non sono le regole imposte dall’alto a determinare il funzionamento più o meno stabile della politica, ma la mentalità dei politici. A sua volta determinata dalle caratteristiche psicologico-culturali del popolo di riferimento.

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