Romanzo escluso dalla cinquina del premio Strega, pur essendo stato dato da molti come favorito, “Sembrava bellezza” è il coraggio di non piacere, a tutti e a tutti i costi, nell’epoca della suscettibilità. La recensione di Chiara Buoncristiani
Gli antipatici non ci sono mai piaciuti. Ma questo per definizione. Leggendo “Sembrava bellezza”, l’ultimo romanzo di Teresa Ciabatti, bastano una ventina di pagine e già non sopporti più la protagonista e nemmeno il libro. Perché e troppo antipatica.
Eppure a pensarci bene, questa lettura è un modo geniale per parlare alle nuove generazioni della difficoltà di relazionarsi con gli altri. E anche per immedesimarsi in quello che mai vorremmo essere, ma che in fondo un po’ tutti siamo. Specie nel mondo digitale, fatto di facili giudizi e aggressività gratuita verso quello che non piace subito. Verso chi non fa simpatia. Dopo un paio di capitoli, Sembrava bellezza vorresti chiuderlo, buttarlo via. Ma poi ti fermi e ci pensi. Ed è soltanto un libro. Anzi un libro venuto bene, visto che riesce così bene a trasmettere emozioni. Anche se negative.
La protagonista è una scrittrice arrogante, madre gelosa e anaffettiva, amica invidiosa, moglie infedele, ex adolescente pariolina, alle soglie della menopausa, continua a lamentarsi, di quanto sia stato difficile crescere senza essere state “perfette”, miliardarie, magrissime, bionde e perennemente abbronzate. Il libro racconta che sono stati gli altri, le altre, ad essere stati cattivi, escludenti, insensibili.
Solo che mentre leggi e inizi a conoscere la protagonista, diventa palese che non la sopporti. Per te la cattiva diventa lei. Ed è lei a essere così piena di rabbia da risultare insopportabile, è lei a meritarsi di essere ignorata dai “popolari”. Nel frattempo tu lettrice, a tua insaputa, ti trasformi, diventi cattiva, pensi “questa non la vorrei mai come amica nemmeno dipinta”. Tu lettore diventi un bullo, perdi ogni empatia, odi quel personaggio e intanto diventi cattivissimo, anche tu, e quella poveretta della protagonista-autrice diventa il contenitore di tutto quello che vuoi allontanare da te.
La prima parte di “Sembrava bellezza”, è un’esperienza notevole, per come trasmette antipatia, fastidio, anche odio, ammettiamolo, verso la tapina della scrittrice, colpevole, lei, di proiettare costantemente la propria distruttività. Questo lo pensi tu lettore, mentre, proprio tu, qui e ora, stai facendo la stessa cosa… Ed è qui che ti stupisci, come è riuscita a farmi vivere tutto questo?
Romanzo escluso dalla cinquina del premio Strega, pur essendo stato dato da molti come favorito, “Sembrava bellezza” è il coraggio di non piacere, a tutti e a tutti i costi, nell’epoca della suscettibilità, come l’ha definita Guia Soncini. Sono pagine che dovrebbero essere lette in classe, o alle bambine future ragazzine come esperienza omeopatica. Un vaccino per le odiatrici (si dice haters) che potrebbero diventare (e per quelle che potrebbero incontrare in classe, o sui loro profili social). Ed è un gioco al massacro quello a cui ci si può sottrarre solo decostruendolo pezzo per pezzo. E questo la Ciabatti, con l’arte dell’antipatia, riesce a farlo.
Un’oscillazione, non una resurrezione, è un momento di lucidità, non la via regina per il perdono universale. Ma è l’accesso all’altra parte della storia. Da qui passa il riconoscimento della verità degli altri, dei vincenti di prima, perdenti di poi, tutti ugualmente coinvolti in un unico gioco.