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Fuori da Kabul. Aerei commerciali Usa e minacce Isis

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Il Pentagono ricorre a un programma di voli commerciali per l’evacuazione dei civili. Ma il rischio attentato terroristico durante le procedure è “reale”, dice la Casa Bianca

Per le procedure di evacuazione dall’Afghanistan il Pentagono ha deciso di attivare il programma Civilian Reserve Air Fleet, facendo appello alle 24 compagnie aree private aderenti che mettono a disposizione 450 velivoli in totale. Per ora sono 18 gli aerei interessati, allertati già venerdì sera come ricostruito dal Wall Street Journal: quattro di United Airlines, tre ciascuno di American Airlines, Atlas Air, Delta Air Lines e Omni Air, due di Hawaiian Airlines. Non dovranno volare su Kabul. Piuttosto, trasferiranno i civili dalle basi americane in Germania, Bahrain, Italia e Qatar, che stanno diventando sempre più affollate.

Come spiega una nota della Difesa americana, questa è la terza volta nella storia che il governo fa ricorso a vettori commerciali per questo genere di missione. In passato era accaduto durante la Guerra del Golfo (tra agosto 1990 e maggio1991) e per l’operazione Iraqi freedom (tra febbraio 2002 e giugno 2003).

Il Craf è un programma istituto nel 1952, in piena Guerra fredda, in seguito al ponte aereo di Berlino del 1948-1949 organizzato dalle potenze occidentali per aiutare i cittadini di Berlino Ovest rimasti isolati dal blocco sovietico. Senza questo programma gli Stati Uniti avrebbero dovuto spendere 50 miliardi di dollari per comprare e mantenere una flotta di aerei sufficiente dal 1952 fino alla Guerra del Golfo nel 1990.

Se questo è come procederà l’esfiltrazione fuori Kabul, nella capitale afghana le problematiche si complicano ancora. La minaccia di un attentato terroristico all’aeroporto di Kabul è “reale”, “acuta”, “persistente”, ha spiegato il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jack Sullivan, alla CNN. Lo scalo è ormai un centro sensibilissimo delle evacuazioni con cui gli Stati Uniti e altri Paesi (tra cui l’Italia) stanno portando fuori gli occidentali e coloro che negli anni hanno collaborato con le missioni occidentali in Afghanistan, mentre il Paese è tornato in mano ai Talebani.

Le parole di Sullivan sono le più esplicite, ma in questi giorni la minaccia è stata evocata da più parti. Nessuna specifica chiaramente, sebbene ci sarebbero indicazioni di intelligence precise. È evidente che i rischi riguardano attentatori kamikaze, camion/auto bomba fino al lancio di razzi contro gli aerei in decollo. Il contesto è caotico, le misure di sicurezza rischiano di essere violate.

Anche per questo è stato incrementato il contingente dei Night Stalker, che con i loro elicotteri sono in grado di compiere missioni chirurgiche dentro-fuori al compound dello scalo intitolato a Hamid Karzai. L’obiettivo è evitare esposizione: l’ammassarsi di persone attorno ai cancelli dello scalo sarebbe un bersaglio fin troppo semplice per i terroristi.

Lo Stato islamico nel Khorasan, IS-K, come si chiama la filiale dei baghdadisti operativa in Asia Centrale, si addestra per questi contesti. Il gruppo, secondo i dati del contro-terrorismo dell’Onu, ha già compiuto 77 attacchi in Afghanistan quest’anno (oltre il triplo del 2020). L’avanzata dei Talebani, nemici dell’IS-K, offre spazi: le azioni sono spietate e non distinguono tra insorti, forze militari e civili. L’obiettivo è sempre il bersaglio grosso e più comodo.

Domenica 23 agosto sono circolate le immagini di un aereo cargo francese A400M che decollando dall’aeroporto di Kabul ha sparato dei flare: sono i dispositivi che servono per ingannare eventuali missili puntategli contro. Di solito è una precauzione che viene applicata secondo un protocollo standard in aree di conflitto: i missili portatili che potrebbero colpire gli aerei lavorano a ricerca di calore, le contromisure confondono i sensori infrarossi dei missili.

Un attacco importante dell’IS-K durante l’evacuazione solleverebbe il profilo, il reclutamento e il prestigio del gruppo, che negli ultimi mesi ha perso controllo territoriale (già piuttosto limitato alle province di Kunar e Nangarhar) sotto i colpi dell’avanzata talebana. Ma il nuovo leader, Shahab al-Muhajir, spinge la propaganda e cerca di mantenere attivi i tuoi. Ora il rischio è che voglia sfruttare l’occasione. Rischio ulteriore: col ritiro americano la Cia potrebbe perdere occhi e orecchie sul terreno, è questo potrebbe essere un valore aggiunto per i baghdadisti.

(Foto: @StateDept)


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