Lo stanziamento di ingenti risorse comuni per fronteggiare la sfida collettiva è una svolta nella storia della costruzione europea. A questa linea la Germania del dopo Merkel dovrebbe continuare ad attenersi, tanto più se nel prossimo governo accanto a Laschet sedesse la leader verde Baerbock. L’articolo di Michele Valensise, già ambasciatore italiano a Berlino, apparso sulla rivista Formiche
Nella campagna elettorale di quattro anni fa per il rinnovo del Bundestag, sulle strade delle città tedesche apparvero come sempre i manifesti dei candidati dei vari partiti, ognuno con un messaggio o uno slogan. Il manifesto elettorale di Angela Merkel invece consisteva in una sua semplice foto, senza neanche il nome, nulla, soltanto il suo volto sorridente in primo piano. Il sottinteso era chiaro: dopo, allora, dodici anni di guida ininterrotta del governo, la cancelliera non aveva bisogno di troppi proclami; la sua immagine voleva dire “voi mi conoscete, basta questo”.
E infatti bastò. Oggi, a poche settimane dalle prossime elezioni federali (26 settembre), l’uscita di Merkel dall’arena governativa alimenta interrogativi e incertezze. Di sicuro c’è che nessun candidato potrà permettersi di affiggere per strada solo la sua foto. Chi è in lizza per la cancelleria deve presentarsi al meglio e chiarire il proprio programma. L’era Merkel finisce così, senza un delfino cresciuto per tempo nelle retrovie. Già nella lotta dei mesi scorsi per la scelta del nuovo presidente della Cdu la cancelliera era stata cauta nel sostenere l’uno o l’altro aspirante, anche se la sua preferenza per Armin Laschet traspariva abbastanza chiaramente.
E Laschet è diventato presidente. Poi si è trattato di individuare il candidato della Cdu per la cancelleria, non necessariamente il presidente del partito, e Laschet l’ha spuntata di nuovo, prevalendo sul bavarese Söder. Ora si prepara alla battaglia finale di settembre, per imporsi sugli avversari, la verde Annalena Baerbock e il socialdemocratico Olaf Scholz, e assicurarsi la guida del nuovo governo. Al momento tutti i sondaggi lo danno vincente.
E allora, nella Germania sempre poco incline a strappi e sorprese, perché essere così incerti sui prossimi sviluppi? In realtà il quadro politico interno è stabilizzato grazie alla netta prevalenza di un ampio spettro di forze “tradizionali”, europeiste (Cdu, Verdi, Spd, Fdp), che lasciano poco spazio all’estrema destra (AfD) e, a livello nazionale, anche alla sinistra radicale (Linke), che pure in alcuni Länder partecipa a governi di coalizione. In particolare il populismo della AfD, non sufficientemente distante da qualche inquietante scheggia neo-nazista, è fuori dal perimetro di ogni possibile intesa di governo, come anche di una sostanziale interlocuzione politica e parlamentare con gli altri partiti.
D’altra parte l’estrema destra, più radicata nei Länder orientali che non nei territori di quella che era la Germania occidentale, sembra aver raggiunto il tetto dei consensi ed essere ormai in flessione, come emerso da ultimo nelle elezioni regionali in Sassonia-Anhalt all’inizio di giugno. Resta naturalmente da verificare la composizione del prossimo governo, le possibili combinazioni delle forze che ne faranno parte, indicate in gergo con bandiere nazionali con i colori dei diversi partiti (Giamaica, nero-verde-giallo cioè Cdu, Verdi e Liberali; Kenya, nero-rosso-verde cioè Cdu, Spd e Verdi; Germania, nero-giallo-rosso cioè Cdu, Liberali e Spd).
Di fatto in tutte le ipotesi figura la Cdu, a conferma di una prevedibile continuità della linea di governo, sicuramente apprezzata da un elettorato sensibile al fattore stabilità. Ma la partita in corso non riguarda solo la Germania, sono i riflettori di tutta l’Europa a essere puntati sul campo di gioco tedesco. È ragionevole immaginare un consolidamento dell’impegno di Berlino in Europa. A luglio del 2020, dopo l’urto violento della pandemia, il ruolo e la voce di Berlino furono determinanti a Bruxelles nell’adozione di un piano europeo di ripresa senza precedenti per dimensione e modalità.
Lo stanziamento di ingenti risorse comuni per fronteggiare la sfida – sì comune, ma asimmetrica nel suo impatto sui diversi Paesi Ue – è una svolta nella storia della costruzione europea. Indica una solidarietà e una spinta alla coesione, non scontate per un Paese già accusato di miope egoismo.
A questa linea la Germania del dopo Merkel dovrebbe continuare ad attenersi, tanto più se nel prossimo governo accanto al cattolico Laschet, nato ad Aquisgrana, sedesse la leader verde Baerbock, decisamente impegnata, con il suo partito, sul fronte europeo oltre che ambientale. E oltre all’Europa ne beneficerà anche il dialogo transatlantico, sempre cruciale per Berlino: in linea con visione e priorità italiane.