Presenziare ai lavori infliggerebbe un vulnus alla stabilità regionale, alla sicurezza internazionale e alla democrazia liberale, offrendo la copertura reputazionale di Roma alla delegittimazione dello Stato ebraico. L’opinione di Bepi Pezzulli
Australia, Austria, Canada, Germania, Francia, Israele, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, UK, Ungheria e Usa hanno annunciato che non parteciperanno al 20mo anniversario della Conferenza di Durban programmato per il 22 settembre, durante la sessione di apertura dell’Assemblea Generale dell’Onu. Le maggiori democrazie occidentali avevano già dato forfait a Durban II, nel 2009 a Ginevra, e a Durban III, nel 2011 a New York.
Questo perché la I Conferenza di Durban fu un evento spregevole. Il 31 agosto 2001, poco prima degli attentati terroristici dell’11 settembre, quella che doveva essere l’iniziativa universale della comunità internazionale contro il razzismo, si trasformò in un atto d’accusa contro il sionismo, lo Stato di Israele, e il popolo ebraico.
Irwin Cotler, ministro della Giustizia e procuratore generale del Canada, scrisse: “Se l’11 settembre è stato la Kristallnacht del terrorismo, Durban è stata la sua Mein Kampf“.
Durban I fu un palcoscenico di ribalta per il dittatore cubano Fidel Castro e al leader dell’OLP Yasser Arafat. Il primo denunciò “il terribile genocidio perpetrato contro i fratelli palestinesi”; mentre il secondo si scagliò contro “le pratiche razziste del sionismo”. I lavori posero le basi teoriche dell’antisemitismo contemporaneo; il documento finale fu usato per attaccare lo Stato di Israele e fabbricare la narrativa “sionismo uguale razzismo”. Nel Forum delle ONG vennero posti in vendita I protocolli dei Savi di Sion e migliaia di persone parteciparono ad una marcia guidata dai palestinesi, dove un cartello recava scritto “Hitler avrebbe dovuto finire il lavoro”. Fondamentalmente, Durban elaborò la strategia della disinformazione antisionista e sviluppò la formula retorica per la manipolazione del discorso pubblico: da allora, gli ebrei non sono più odiati in nome del razzismo, ma in nome dell’antirazzismo.
Durban II offrì una piattaforma al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che usò il discorso di apertura dei lavori per condannare Israele come “totalmente razzista” e accusare l’Occidente di usare l’Olocausto come “pretesto” per l’aggressione contro i palestinesi. La versione inglese distribuita del discorso si riferiva all’Olocausto come una “questione ambigua e dubbia”.
A Durban III occorse un miracolo: il sottosegretario saudita per gli affari multi-relazionali non si è mai presentato, ma l’ONU caricò comunque il suo “discorso” sul sito della manifestazione. Queste furono le parole del principale praticante mondiale dell’apartheid di genere e del paese che criminalizza le manifestazioni religiose diverse da quelle dell’Islam: “il più alto grado di razzismo e discriminazione (…) l’illustrazione più chiara di tale discriminazione razziale globale è (…) contro il popolo palestinese”.
Le conseguenze di Durban si irradiano ad oggi. Durante l’operazione Guardiani delle mura, numerose voci dall’interno dell’UE e dall’Italia hanno simpatizzato con le posizioni di Hamas, un’organizzazione terroristica, accusando Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, di essere un regime di apartheid. E’ ironico che a poche settimane dalla cessazione delle ostilità, un partito arabo, Ra’am, sia poi andato al governo a Gerusalemme con la coalizione di Naftali Bennet.
Quando la Francia ha adottato la definizione di antisemitismo IHRA, il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato che “l’antisionismo è una moderna forma di antisemitismo”; e, nel fare altrettanto, la Kanzlerin tedesca Angela Merkel ha detto che “l’antisionismo è illegittimo”.
L’Italia non deve partecipare a Durban 20. Presenziare ai lavori infliggerebbe un vulnus alla stabilità regionale, alla sicurezza internazionale e alla democrazia liberale, offrendo la copertura reputazionale di Roma alla delegittimazione dello Stato ebraico. Piuttosto, l’Italia deve adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA nella sua interezza e comunicare la propria assenza dal festival dell’antisemitismo, facendo sue le parole di Ugo La Malfa: “La difesa della libertà dell’Occidente comincia sotto le Mura di Gerusalemme”.