Prima di pensare a cosa fare domani, c’è un tema più urgente: portare via, in qualsiasi modo, chi in questi anni ha collaborato con i nostri militari e ora rischia la vita. Le sanzioni contro i Talebani di Europa e Usa sono un’arma spuntata, ma… L’analisi di Leonardo Bellodi
La mattina del 13 agosto, ho ricevuto un messaggio da un medico afgano che è di casa in Italia che più volte mi ha accompagnato senza alcuna scorta per le strade di Kabul. Gi chiedevo se non aveva paura (o se non ne dovessi averne io tra l’altro). Era in realtà ben conosciuto e ben voluto da tutti.
Una situazione che dal suo messaggio è radicalmente cambiata: “Nel 1984 sono scappato dall’ Afghanistan come rifugiato. Dopo 34 anni sono ritornato per aiutare il mio paese ma purtroppo tutto è fallito. Sto aspettando di essere evacuato”.
Mi sono venute in mente le parole di un alto funzionario del servizio diplomatico della Commissione Europea che a aprile mi disse: appena gli Stati Uniti se ne andranno, i talebani riprenderanno il controllo totale del Paese.
In molti pensavano che dopo il ritiro della forze internazionali, i talebani si sarebbero avvicinati a Kabul in 20 settimane. Sono bastati 20 giorni. È doloroso pensare che migliaia di soldati della coalizione internazionale morti o feriti nei combattimenti abbiano sacrificato la loro vita invano. Per non parlare delle centinaia di miliardi di dollari spesi per addestrare l’esercito e le forze di polizia locale e per la ricostruzione del Paese.
Solo gli Stati Uniti hanno speso 88 miliardi di dollari per formare ed equipaggiare l’esercito afghano. Neve al sole. C’è molta ipocrisia, o cinismo per vedere l’altro lato della medaglia, in questi ultimi mesi.
Dietro le quinte, nessuno pensava che i talebani avrebbero rispettato l’accordo concluso con gli Stati Uniti circa un anno fa di rescindere i legami con i gruppi terroristici internazionali e di partecipare in buona fede a negoziati con il governo di Kabul rinunciando nel contempo alla violenza.
Per quanto riguarda poi la formazione dell’esercito afghano, rapporti mai pubblicati del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti non facevano mistero del fatto che la corruzione e gli interessi privati hanno fatto da padroni nella gestione degli aiuti economici. Migliaia di soldati pagati con i soldi della coalizione internazionale semplicemente non esistevano.
In questi giorni si susseguono riunioni di emergenza (ma era tutto così prevedibile che il termine è piuttosto inappropriato) della Nato e delle Nazioni Unite. Il tema vero è: quali leve ha la comunità internazionale in questo momento?
Prima però di pensare a cosa possiamo fare domani, c’è un tema più urgente. Portare via tutti coloro i quali hanno lavorato con gli Stati Uniti, la Germania, l’Italia e con gli altri Paesi della coalizione internazionale. Non c’è tempo per l’emissione dei visti, per le pratiche burocratiche ancorché urgenti. È una questione di ore. Non si tratta solo di un imperativo morale ma anche di un esercizio di realpolitik: saranno in pochi in future missioni in altri paesi ad aiutare le forze internazionali se sanno che siamo disposti ad abbandonarli al loro destino.
E poi c’è il domani. Oggi l’Afghanistan è un paese completamente diverso da quello di vent’anni fa. La qualità della vita è migliorata, il tasso di alfabetizzazione è cresciuto, sono molti gli ospedali a funzionare in modo accettabile.
Stati Uniti ed Unione Europea si dicono pronte ad adottare pesanti sanzioni internazionali nei confronti dei talebani. È un arma piuttosto spuntata. Per due ragioni. La prima è che i talebani non temono l’ isolamento internazionale. La seconda è che non sono proprio soli. Russia, Turchia guardano con una certa attenzione al paese e alla regione.
Il Pakistan potrebbe essere il cavallo di troia della Cina in Afghanistan dal momento che tra i due paesi vi è una entente politica ed economica (a prescindere da considerazioni politiche, la Cina potrebbe essere interessate agli immensi giacimenti di litio presenti in Afghanistan).
Che ci piaccia o no, le uniche leve che Europa e Stati Uniti hanno sono in mano a questi paesi con i quali dobbiamo confrontarci magari con la mediazione del Qatar.
Dobbiamo farlo perché Kabul non è così lontano da noi come potremmo pensare. Se la situazione implode dovremo affrontare un flusso migratorio di grandi dimensioni che, tra l’altro, sarebbe “gestito” in gran parte dalla Turchia aumentandole il potere contrattuale nei confronti dell’ Europa.
In questi mesi l’Italia gode di una credibilità internazionale senza precedenti. Possiamo usarla per dialogare con i paesi che possono fare la differenza in Afghanistan.