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Lo filiera dell’olio di palma è sostenibile? Pro e contro secondo Cmcc

Di Antonio Picasso

La fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha presentato un’indagine sugli socio-economici connessi alla produzione di olio di palma. Ecco cosa dice. Il commento di Antonio Picasso, senior analyst di Competere

“Gli aspetti socio-economici connessi alla produzione di olio di palma e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile”. Non lascia molto spazio ai dubbi il titolo dell’indagine della fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc). L’analisi rappresenta una ricatalogazione, in chiave sistemica, della letteratura già esistente sugli aspetti socio-economici legati allo sviluppo della filiera dell’olio di palma. Vengono quindi prese in esame ben 82 pubblicazioni scientifiche, elaborate tra il 2010 e il 2020, i cui risultati sono messi a loro volta in relazione con otto obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: sconfiggere la povertà, sconfiggere la fame, salute e benessere, istruzione di qualità, parità di genere, acqua pulita e igiene, lavoro dignitoso e crescita economica e ridurre le disuguaglianze. Questi gli obiettivi del Palazzo di Vetro presi a riferimento nel verificare il livello di sostenibilità della filiera dell’olio di palma.

È sostanzialmente un approccio innovativo e controintuitivo quello adottato dal Cmcc. La domanda implicita a cui risponde è infatti: che cosa si fa con l’olio di palma? Sviluppata meglio: quali sono le ricadute virtuose, in ambito sociale ed economico, delle attività riconducibili alla filiera dell’olio di palma sostenibile? Si interviene, per esempio, a fianco dei piccoli proprietari terrieri, promuovendo lo sviluppo socio-economico delle comunità locali. Si realizzano nuove infrastrutture scolastiche all’interno delle piantagioni, per garantire un’istruzione di qualità ai figli dei coltivatori. Collateralmente si aumenta la possibilità di accesso all’assistenza sanitaria. Inoltre, alternando la coltivazione della palma da olio con la tradizionale coltivazione di sussistenza, viene migliorata la qualità della nutrizione e così ridotte le cause di denutrizione. Con l’utilizzo poi di tecnologie e processi di coltura sofisticati – quali la riduzione dei fertilizzanti, la corretta gestione degli effluenti dei frantoi e la protezione delle riserve idriche – si arriva a una concreta protezione degli ecosistemi e delle biodiversità.

Ulteriori risultati positivi sono emersi nell’ambito delle parità di genere. Soprattutto per quanto riguarda l’occupazione, lavorativa e imprenditoriale, delle donne. Come anche nell’ambito salariale. Importanti anche i rilevamenti per quanto riguarda la riduzione delle disuguaglianze, in termini di reddito e di libertà individuali.

Altrettanta attenzione è stata data alle criticità. Una letteratura così vasta non può che mettere in luce prospettive differenti, a volte anche opposte, con sfumature variegate per gli otto obiettivi di sviluppo sostenibile di riferimento, alcuni dei quali sono inevitabilmente interconnessi tra loro. Le difficoltà sono riconducibili essenzialmente alla parità di genere, alla garanzia di condizioni di lavoro dignitose e alla riduzione delle disuguaglianze. Da qui l’intenzione del Cmcc di proseguire con le analisi.

Si diceva di un approccio innovativo e controintuitivo. Il primo è dato dal fatto che il Cmcc ha messo sotto i riflettori gli elementi socio-economici connessi alla produzione di olio di palma. Andando così in controtendenza, visto che solitamente le analisi pongono l’attenzione all’ambiente.

L’elemento controintuitivo è invece legato all’intenzione, poggiante su basi scientifiche, di far emergere ciò che solitamente non si dice dell’olio di palma. È ormai nota l’etichetta “senza olio di palma” presente su tanti prodotti alimentari. Made in Italy e non. “Lettera scarlatta” dei nostri tempi legata a un comune sentire per cui questo alimento sarebbe: primo, nocivo per la salute; secondo, distruttivo per l’ambiente; terzo, colpevole di condannare le comunità locali delle piantagioni a un perenne stato di povertà e indigenza.

Le 82 pubblicazioni scientifiche, nate da dieci anni di ricerche e studi, hanno dimostrato che, al contrario, “con l’olio di palma sostenibile” si partecipa a un lungo ma progressivo cammino di sviluppo; di riqualificazione e protezione delle biodiversità; di diffusione di un alimento sano e sicuro a priori – come riconosciuto dal Crea e dall’Istituto Superiore di Sanità – semplicemente ricco di grassi e quindi da consumarsi con moderazione. Come tutti gli altri olii.

Punto forte e conclusivo della ricerca è la certificazione. Strumento introdotto per rispondere alle continue sollecitazioni da parte del mercato e della società civile. Sono tanti i modelli di certificazione a livello internazionale. Ne è un esempio quella rilasciata dalla Round Table for Sustainable Palm Oil (Rspo), che risulta essere la più completa. Ma tutte hanno come finalità la garanzia che l’olio di palma, prodotto dalle nazioni e dalle imprese che vi aderiscono, oltre a non danneggiare l’ambiente, svolga un ruolo cruciale nel supportare l’economia e il sostentamento delle comunità locali nei paesi produttori in via di sviluppo. L’adozione di schemi di certificazione per la produzione di olio di palma sostenibile offre l’opportunità di migliorare molti indicatori dell’impatto socio-economico, legati all’espansione della produzione di palma da olio.

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