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Un migration compact europeo per gestire l’ondata migratoria dall’Afghanistan

L’Europa non deve lasciare soli i Paesi del fianco Est che si troveranno a sostenere il peso delle nuove ondate migratorie prodotte dall’evoluzione dei fatti in Afghanistan. Anche perché quel peso poi sarà scaricato sull’Italia. Bruxelles ha la capacità di reagire con forza e competenza come dimostrato con la pandemia, e dovrebbe creare per questo un Migration Compact Ue per la gestione condivisa delle migrazioni

La riconquista dell’Afghanistan da parte dei Talebani diventa una sfida di carattere securitario e geopolitico nella regione dell’Asia Centrale e contemporaneamente crea un potenziale enorme problema migratorio. Già nei giorni pretendenti all’avanzata a Kabul del gruppo insorgente jihadista si assisteva alla fuga in massa di cittadini afghani che scappavano dal paese che da lì a breve sarebbe ripiombato nel buio della sharia, nel buco nero del radicalismo islamico che l’organizzazione fondata nel 1994 dal Mullah Omar rappresenta.

E al di là delle prime dichiarazioni diffuse dai rappresentanti talebani – quelle a proposito di una non meglio specificata forma sharitica più aperta che intenderebbero applicare al paese – resta evidente che per molti afghani che hanno conosciuto barlumi di libertà nel corso degli ultimi vent’anni, dopo aver provato il peso del governo talebano, la riconquista del potere degli estremisti è un dramma vitale. Lo dimostrano le tragiche immagine dei giovani che cercano di fuggire, ammassati all’aeroporto di Kabul, alcuni cercando un’improbabile fortuna aggrappati ai carrelli degli aerei cargo americano.

Accogliere chi vuol scappare dalla morsa dei Talebani è un imperativo per l’Occidente, ma per farlo serve collaborazione, in primis tra gli Stati membri dell’Unione Europea. Tra l’iconografia del momento resterà alla storia la foto di quel C-17 americano decollato con 640 profughi a bordo (persone che per varie ragioni avevano collaborato con le forze occidentali e che i Talebani avrebbero potuto cercare e uccidere). Un esempio di come le capacità, tecnologiche quanto culturali e valoriali, di quello che vogliamo continuare a chiamare Occidente può ancora fare per quel paese.

Per salvare il salvabile, quanto meno, di una vicenda su cui certamente serve una riflessione, ammettendo gli errori commessi, ma che ora – nell’immediato dell’emergenza –  ha come imperativo l’aiuto alle persone afghane. Le immagini strazianti, la paura che i Talebani fanno a giovani, donne e anziani, dovrebbero mettere l’Ue sulla direzione. E l’idea è la creazione di Migration Compact Europeo.

Perché se è vero che l’amministrazione Biden ha cercato di recuperare il terreno perso in precedenza nel dialogo con l’Europa, sono le stesse parole pronunciate nei giorni scorsi dal presidente americano, proprio commentando quanto sta succedendo in Afghanistan, a spiegare come sia sempre più necessario che l’Unione si prenda i propri spazi e le proprie responsabilità. E in questo caso, quella responsabilità – che in generale significa anche avere capacità di muoversi in modo sicuro e unito nello scacchiere internazionale – è rappresentata dal dare supporto, aiuto, assistenza a tutti coloro che in Afghanistan ci hanno aiutato.

Ma non solo. Contemporaneamente è chiaro che si stiano creando i presupposti per una nuova, grande ondata migratoria, a cui sono già le Nazioni Unite a chiederci di essere pronti e le nostre intelligence a prepararci. E mentre il ritorno di una dimensione statuale dietro alle istanze radicali islamiche rischia di incoraggiare i fanatici e il terrorismo a loro collegato, non possiamo sottovalutare che quello che sta succedendo in Afghanistan trova forme di moltiplicazione con le sensibilità in Libia, con l’instabilità in Tunisia, con le crisi del Sahel e l’assenza di una struttura istituzionale stabile in Libano, il perdurare lento della guerra civile in Siria.

L’Europa ha chiaramente consapevolezza del quadro generale che la circonda, e ha evidentemente percezione del rischio che la pressione migratoria dall’Afghanistan lungo la rotta balcanica possa mettere in difficoltà quel fianco complicato a Est e poi scaricarsi sull’Italia. Roma anche ne è conscia, ovviamente. L’Europa non può lasciare sola l’Italia nella gestione dell’immigrazione e dell’accoglienza, e deve rendersi conto, che ci troviamo di fronte a quella che potrebbe essere una delle più grandi crisi migratorie del nostro secolo.

La concomitanza della crisi tunisina, libica, siriana e libanese ed ora di quella afghana rende lo scenario molto preoccupante. Ragion per cui è il momento di fare in modo che Bruxelles non resti inerme davanti all’evoluzione dei fatti, tanto più che siamo in una fase storica delicata. Da qui la necessità di creare e mettere in operatività quel Migration Compact Ue per costruire concretamente il piano globale europeo. Anche perché, sembra retorico chiedersi se la protezione dei confini europei e la co-gestione delle responsabilità connesse all’immigrazione non siano temi che debbano interessare quella next generation europea a cui parla il Recovery Plan.

È proprio il piano pensato e messo in atto per il recupero economico-sociale post-Covid che ci insegna quanto l’Ue, se vuole, sappia agire concretamente e rapidamente. Per tale ragione andrebbe messo in piedi rapidamente il Migration Compact Ue, per creare uno strumento che permetta di gestire con efficacia il problema, altrimenti – oltre ad essere sommersi dall’arrivo di migranti da varie rotte – continueremo a sub-appaltarne la gestione a paesi come la Turchia, che poi usano gli stanziamenti europei per andare a conquistare “terre straniere” (come la Libia o la Siria, lasciate sole sia dall’Europa che dagli americani).



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