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Nuova grana per Huawei negli Usa. Questa volta c’entra il Pakistan

Un’azienda californiana ha citato in giudizio il colosso cinese: avrebbe usato la sua tecnologia per installare una backdoor nei sistemi della polizia di Lahore. Il gruppo di Shenzhen respinge le accuse di spionaggio

Business Efficiency Solutions LLC, piccola azienda IT californiana, ha citato in giudizio Huawei, colosso cinese della tecnologia, e la sua controllata in Pakistan. Due le accuse: furto di segreti industriali e mancato rispetto di un contratto per sviluppare tecnologia per le autorità pakistane.

Nel 2015, ricostruisce la denuncia presentata alla Corte distrettuale degli Stati Uniti a Santa Ana, il governo pachistano ha lanciato un programma per aggiornare le tecnologie in dotazione a polizia e forze dell’ordine con l’intento di rendere le città del Paese più sicure (le cosiddette “safe city” di cui Huawei è leader mondiale, coinvolta anche in Italia).

Nel 2016 Bes e Huawei hanno iniziato a lavorare sui sistemi IT delle forze di Lahore, nel Punjab. Presto, però, le due aziende sono arrivate ai ferri corti e, sulla scia delle tensioni Washington-Pechino che hanno coinvolto anche i colossi tecnologici cinesi finiti sotto la scure statunitense, si sono fatte causa a vicenda presso i tribunali pachistani.

La questione, però, è arrivata ora in una corte californiana. Perché, questa è l’accusa della società californiana, il colosso cinese avrebbe creato “una backdoor” in un database delle forze di polizia locali per “ottenere dati importanti per la sicurezza nazionale del Pakistan e per spiare i cittadini pakistani”. Tra le informazioni accessibili, anche fedina penale e quadro fiscale.

Secondo la denuncia, “Huawei ha minacciato di mettere fine agli accordi tra le parti e di trattenere tutti i pagamenti dovuti a Bes a meno che” l’azienda californiana “non avesse installato il duplicato del sistema [Data Exchange System] in Cina”. Il sistema è stato poi installato in Cina, a Suzhou, nel 2017, dopo che Huawei aveva confermato di aver ricevuto il via libera del governo pachistano senza però fornire alcuna prova al Bes, ha spiegato l’amministratore delegato Javed Nawaz. Il manager ha parlato di installazione effettuata sotto minaccia: “Huawei-Cina utilizza il sistema (..) come una backdoor dalla Cina a Lahore per accedere, manipolare ed estrarre dati sensibili importanti per la sicurezza nazionale del Pakistan”, si legge ancora nella denuncia.

Muhammad Kamran Khan, direttore operativo dell’Autorità per le “safe city” del Punjab, ha spiegato al Wall Street Journal che sono state chieste spiegazioni a Huawei: “Finora, non ci sono state prove di alcun furto di dati da parte di Huawei”, ha detto. L’azienda cinese, da parte sua, ha respinto le accuse: “Non commentiamo i casi legali in corso”, ha spiegato. “Huawei rispetta la proprietà intellettuale degli altri, e non ci sono prove che Huawei abbia mai impiantato alcuna backdoor nei nostri prodotti”.

Se le accuse dovessero essere dimostrate in California, questa causa potrebbe rivelarsi come un altro tassello della battaglia statunitense contro la tecnologia “made in China”. Un tassello, tra l’altro, di strettissima attualità viste le mire di Pechino sull’Afghanistan in chiave Via della Seta e i rapporti tra il nascituro Emirato islamico sotto la guida dei Talebani e il Pakistan, in particolare la sua intelligence.

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