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Ripensare le regole per arginare l’irruzione degli Stati nel calcio

In attesa che venga ripristinato il Financial Fair Play in versione migliorata e che le istituzioni disegnino le nuove regole sui salari, diamo il benvenuto alla riforma sui trasferimenti e sugli agenti approvata dal consiglio della Fifa lo scorso marzo e in vigore dal luglio del 2022. L’analisi di Gianluca Calvosa, presidente di Formiche e fondatore e Ceo di Standard Football

A differenza degli sport più tipicamente statunitensi come il baseball e il basket, nel calcio il focus dei media è quasi sempre sul prezzo del cartellino, ovvero su quanto incassa il club cedente per liberare un calciatore in anticipo rispetto alla naturale scadenza del contratto. Ciò dipende essenzialmente da due ragioni: (1) negli sport Usa quasi sempre il trasferimento degli atleti avviene a fine contratto oppure attraverso scambi non onerosi, e (2) il salario negli Usa è di norma un’informazione pubblica, mentre nel calcio (e in Europa, dove è lo sport prevalente) resta un’informazione confidenziale di cui i giornali raccolgono i rumours senza mai conoscere in dettaglio le clausole specifiche e soprattutto i bonus e le condizioni secondo cui maturano. Ce ne sarebbe una terza, più giornalistica: il salario è spalmato lungo la durata del contratto, mentre il costo del cartellino è un numero più roboante e adatto al sensazionalismo necessario alla titolazione (anche se ormai nessuno paga più alla firma ed in una soluzione unica).

La prevalente opacità che copre la componente salariale delle transazioni nel calcio, oltre che spostare l’attenzione su una valorizzazione parziale, determina una generale disinformazione nella lettura dell’operato delle società sportive e degli agenti. Ciò risulta ancor più vero nell’era post-covid in virtù della crisi di liquidità che ha trasformato i trasferimenti a titolo oneroso in prestiti con obbligo di riscatto, sostanzialmente equivalenti ma meno pesanti per i bilanci.

Come funzionano davvero i trasferimenti nel calcio lo spiega bene l’avvocato della Premier League, Daniel Geey, nel suo libro “Done Deal: An Insider’s Guide To Football Contracts, Multi-Million Pound Transfers And Premier League Big Business” (con prefazione di Gianluca Vialli), ma per capire che il salario è spesso il maggiore investimento del club per un calciatore (quasi sempre per i top performer) basta fare qualche semplice operazione aritmetica. Nel caso recente di Lukaku passato dall’Inter al Chelsea, il club inglese ha sborsato 114 milioni di euro per il cartellino (stando alle fonti più attendibili), mentre per il salario Roman Abramovich si sarebbe impegnato per 49,5 milioni di euro l’anno (nel caso in cui il calciatore belga riesca a maturare tutti i bonus) che per i cinque anni di contratto fanno circa 248 milioni, ovvero più del doppio del cartellino. E parliamo del calciatore con il cartellino più costoso di sempre per il Chelsea e uno dei più costosi della finestra di mercato ancora aperta.

Siccome nessuno si sognerebbe di comprare un’auto di lusso che consuma in benzina il doppio del prezzo pagato al concessionario, c’è da chiedersi perché nel calcio ciò avvenga così di frequente. La risposta è perché (entro certi limiti) conviene. Lo spiega bene il Ceo del City Football Club, Ferran Soriano, il mago del triplete del Barcellona, nel suo libro, “Goal: The Ball Doesn’t Go In By Chance: Management Ideas from the World of Football”, in cui teorizza per primo il concetto della mega-cantera poi attuato al City di Mansour bin Zayed che ha acquistato 10 club (con relative squadre femminili) e strutturato una metodologia di sviluppo del talento centralizzata. Soriano ha fatto proprie le teorie emergenti da numerosi studi scientifici (vedi Furesz e Ivet 2018, Matesanz 2018, Bhatia 2020, e altri) che stabiliscono come non sia dimostrata una correlazione tra spesa netta in cartellini e successi sportivi (e quindi ricavi), mentre appare piuttosto evidente un legame reciproco di tipo virtuoso (di nuovo, entro certi limiti) tra spesa in salari e risultati in campo. Insomma, chi spende molto comprando calciatori non è sicuro di vincere, mentre chi alleva i migliori calciatori e li paga abbastanza per trattenerli, alla lunga è destinato a vincere.

Ma se Soriano e il City hanno costruito una vera e propria fabbrica del talento che si è rivelata assai più redditizia del baratto al mercato (il City Group – non il Manchester City – incassa annualmente plusvalenze ben superiori alla spesa aggregata dei suoi club sul mercato), il PSG sta approfittando della crisi di liquidità post pandemica e del buco normativo indotto dallo stop al Fair Play Finanziario per forzare le regole non scritte del calciomercato mettendo in atto una strategia di caccia al talento senza precedenti, basata su stipendi scandalosamente alti che inducono i calciatori migliori a non rinnovare i contratti in essere con i club di appartenenza. L’effetto è di massimizzare il risultato negoziale per il club acquirente che non paga per la cessione, e anche per l’atleta che in pratica intasca parte del prezzo del cartellino risparmiato dal club. Ne sono prova le recenti acquisizioni a parametro zero di Donnarumma e Messi, e le voci di un prossimo addio di Pogba allo United per passare al PSG da svincolato. Sia chiaro, non solo questa pratica non è contro le regole in vigore, ma paradossalmente va incontro in qualche modo alla famosa sentenza Bosman sulla libera circolazione nel mercato del lavoro (e dei calciatori) in Europa. Il problema è che la finanza muscolare alla base di questa strategia predatoria è consentita soltanto ai cosiddetti “state-owned” club. Essa determina un’asimmetria negoziale in grado di alterare la competitività in maniera significativa nel giro di pochi anni incrementando gli squilibri già esistenti nel comparto industriale e rimpinguando ulteriormente il portafoglio di un numero ridotto di superprocuratori.

Sebbene nel calcio, la concentrazione del talento non corrisponde automaticamente al successo sportivo, di certo non aiuta la competitività e l’attrattività verso il pubblico di un prodotto a imprevedibilità decrescente. Evidentemente, la risposta a questi squilibri non può che venire dalla regolazione. Pertanto, in attesa che venga ripristinato il Financial Fair Play in versione migliorata e che le istituzioni disegnino le nuove regole sui salari, diamo il benvenuto alla riforma sui trasferimenti e sugli agenti approvata dal consiglio della Fifa lo scorso marzo e in vigore dal luglio del 2022.



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