L’edizione 2021 del Rossini Opera Festival inizia quasi a ridosso della conclusione del primo G20 della Cultura e ne rappresenta bene il significato. Quando nel 1980 iniziò, con la messa in scena de La Gazza Ladra, pochi pensavano che avrebbe trainato lo sviluppo di Pesaro e delle aree circostanti e che una cittadina di piccole e medie imprese sull’Adriatico sarebbe diventata un centro internazionale per alcune settimane l’anno
Si è appena chiuso il G20 delle cultura ponendo l’accento su come le attività culturali saranno probabilmente il motore della crescita nel mondo post-Covid. Un po’ come lo è stato il Rinascimento dopo le pesti del Medioevo. Quasi contemporaneamente inizia l’edizione 2021 del Rossini Opera Festival che è una delle prove più concrete della conclusione del G20.
Quando nel 1980 iniziò, con la messa in scena de La Gazza Ladra, pochi pensavano che avrebbe trainato lo sviluppo di Pesaro e delle aree circostanti, che il 70% del pubblico sarebbe stato non regionale, che circa il 50% straniero e che, come a Salisburgo, la richieste di biglietti sarebbero state il doppio dei posti disponibili. In breve che una cittadina di piccole e medie imprese sull’Adriatico sarebbe diventata un centro internazionale per alcune settimane l’anno.
Si progettava, infatti, un’iniziativa musicologica che avrebbe fatto conoscere ad un pubblico di specialisti il patrimonio rossiniano dimenticato (soprattutto le opere serie) e presentato quello sempre eseguito nella versione filologica appropriata. Rossini fu un compositore e un intellettuale che si mise in pensione a trentasette anni (grazie alla fortuna e ai diritti d’autore accumulati) e passò circa metà della sua vita all’estero durante quello che potrebbe essere chiamato “il secolo lungo” – il lasso di tempo che va dalla rivoluzione francese alla Prima guerra mondiale. Rossini nacque nel 1792 quando in Francia la rivoluzione era già in atto (anzi si stava avvicinando Termidoro e la fine del Terrore) e morì nel 1868 (decenni prima dei colpi di pistola a Sarajevo) ma quando già si stava entrando nella fase dell’industrializzazione trionfante, stava nascendo la prima globalizzazione (1870-1910), si stavano completando le unificazioni nazionali di Germania ed Italia, e due Imperi multinazionali (quello ottomano e la duplice monarchia austro-ungarica) stavano scricchiolando.
Sul compositore, la sua vita e le sue opere esiste una bibliografia immensa, anche e soprattutto grazie, negli ultimi trentasette anni, all’attività della Fondazione Rossini e del Rof. Numerosissime le biografie. Un suo biografo, ad esempio, fu il suo contemporaneo, Stendhal, il quale assistette a rappresentazioni di numerose sue opere (anche prime esecuzioni assolute) ed era affascinato dalla sua musica. In tempi più recenti, ma quando poche opere di Rossini erano rimaste in repertorio, Giuseppe Radiciotti pubblicò un lavoro monumentale in tre volumi sul compositore. Durante la Seconda guerra mondiale, per i tipi della Utet e nella collana I Grandi Italiani diretta da Luigi Federzoni, fu uno dei maggiori romanzieri e drammaturghi dell’epoca, Riccardo Bacchelli, a narrare la vita di Rossini. In tempi più recenti c’è stata una ricca fioritura americana sulle orme di Philip Gossett e della sua scuola. Svela lati nuovi il volume del 2009 su Rossini, l’uomo, la musica di Giovanni Carli Ballola. Fondamentali, i due volumi di Sergio Ragni, Isabella Colbran – Isabella Rossini che riguardano unicamente un aspetto della vita del compositore (la sua relazione con Isabella Colbran, che divenne la sua prima moglie), ma includono un vastissimo materiale d’archivio, altrimenti di difficile reperimento (epistolari, articoli di giornale), che aiuta a comprendere “l’uomo” Rossini.
Il Rof è una vera eccezione nel mondo culturale italiano: non solo perché, lavorando d’intesa con la Fondazione Rossini, ha riscoperto tante opere dimenticate (quasi tutto le opere serie e semiserie) nonché alcuni capolavori considerati perduti (come Il viaggio a Reims), ma in quanto “rende” all’Italia sotto il profilo finanziario ed economico ed è un ottimo esempio di collaborazione fra pubblico e privato. Non ha mai chiuso un bilancio in passivo e ha dato un contributo importante alla comunità territoriale in quel lembo che tocca Marche e Romagna e all’Italia, pur essendo nato come una piccola iniziativa finanziata principalmente da enti e imprese a livello locale.
Gli effetti economici del Rof sulle attività produttive del litorale adriatico negli anni di recessione 2008-2011, si sono avvertiti in positivo in maniera significativa, malgrado l’area abbia avuto una perdita di attività a ragione specificatamente della crisi della Banca Marche e delle difficoltà di imprese industriali come la Merloni e la Indesit. Dai bilanci civilistici e dai bilanci sociali nonché da uno studio degli impatti del Rof effettuato dall’Università di Urbino emergono questi aspetti salienti: A) nel periodo del festival, il fatturato del settore dei servizi di Pesaro aumenta di 11 milioni di euro. In sintesi, contando l’indotto, un euro di contributo pubblico (al netto dei rientri diretti agli enti previdenziali e all’erario) ne genera sette di valore aggiunto a Pesaro e al suo hinterland; B) nell’arco degli ultimi otto anni i costi complessivi della manifestazione sono diminuiti del 25 per cento (da 6,6 a 5 milioni di euro) e il numero di dipendenti fissi è restato costante a 12 unità (gli addetti raggiungono i 235 circa nelle settimane del festival). Dei 5 milioni circa di spese, gli oneri sociali (versati a Enpals, Inps, ecc.) e le imposte – in breve, il “rientro diretto all’erario” – ammontano a circa 600 milioni; C) la biglietteria porta incassi per un milione circa di euro (non ne può portare di più a ragione della capacità fisica dei teatri); due terzi degli spettatori sono stranieri molto fidelizzati. Gli sponsor privati – imprese, banche, fondazioni – contribuiscono per circa un milione di euro l’anno. Il resto proviene da enti pubblici e (Stato, Regione, Comune), da coproduzioni e da vendite di allestimenti.
Inoltre, il Rof è l’unico festival italiano che dal 2016 ha dato impulso a: Rossini in Wildbad (Belcanto Opera Festival), un festival di musica lirica che si tiene in estate a Bad Wilbad, una stazione termale tedesca nella Foresta Nera, dove nel 1856 Rossini ha trascorso un periodo di riposo. Rossini in Wildbad ed il Rof hanno ciascuno la propria programmazione e collaborano tra di loro.
In programma, tre nuove produzioni (Moïse et Pharaon, Elisabetta Regina d’Inghilterra, Il Signor Bruschino) vari concerti di cui uno per l’attesa riapertura del Palafestival.