Le Stablecoin rischiano di unire la volatilità delle banche tradizionali e la scarsa regolamentazione delle criptovalute
A differenza delle criptovalute standard, le Stablecoin sono una tipologia molto particolare: hanno un valore fermo vincolato da un mezzo di scambio stabile. Questo sistema a tasso di cambio fisso viene spesso usato dalle banche centrali per stabilizzare la moneta di un paese ma, in questo caso, viene attribuito anche a questa speciale tipologia di cryptocurrency. La Stablecoin può essere pegged (ancorata) fuori dalla blockchain, da un’autorità finanziaria esterna, ad una valuta fiat (nazionale o internazionale), ad una comodity come l’oro o l’argento, oppure ad un’altra criptovaluta.
Come sottolineato da Blockchain4Innovation, “per emettere una Stablecoin ancorata a una valuta fiat, viene raccolto capitale nella valuta a cui ancorarlo e viene depositato in un’entità terza che certifica il sistema; vengono quindi emessi i token e distribuiti tramite scambio o vendita diretta.” Invece, “per emetterle ancorate a commodities, occorre raccogliere capitale per acquistare la commodity da depositare: ad ogni deposito viene emesso un certificato digitale che abilita lo smart-contract a emettere i token.”
La Banca Centrale Europea sostiene che “le iniziative Stablecoin globali potrebbero rendere i pagamenti internazionali meno costosi e più veloci, sostenendo anche l’inclusione finanziaria. Ma le Stablecoin sollevano una vasta gamma di sfide: la resistenza operativa, la sicurezza e la solidità dei sistemi di pagamento, di protezione dei clienti, dei rischi per la stabilità finanziaria e sovranità monetaria, e della protezione dei dati e la conformità con le regole contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.”
Tra le Stablecoin più usate, vi sono Tether, TrueUsd (anche nota come TrustToken, la prima ad essere ancorata al dollaro americano), Usd Coin (distribuita da Coinbase), Binance (Busd) e Paxos Standard. Infine, esiste anche CELO, la prima Stablecoin ancorata all’euro. Tutte queste criptovalute utilizzano la Blockchain e con tutte si possono effettuare pagamenti, fare investimenti e anche scambi. Sono quindi una vera e propria moneta digitale con un tasso di scambio fisso, come quando prima del 1971 esisteva ancora il gold exchange standard.
Esiste, però, un pericolo che deriva dall’uso delle Stablecoin analizzato dal Financial Times. Il rischio è “che le Stablecoin uniscano il rischio di corsa agli sportelli che può colpire le banche tradizionali alla (non) regolamentazione delle criptovalute. In questo caso non assomiglierebbero a una sorta di oro digitale, ma piuttosto alle banche-ombra, come i fondi di mercato monetario che promettevano una stabilità simile a quella dei conti bancari, ma che hanno contribuito ad aggravare la rapida perdita di fiducia nel sistema finanziario durante la crisi del 2008.”
Anche il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria ha riportato che le “Stablecoin devono essere regolate seguendo gli standard di capitale esistenti se pienamente garantite da asset verificabili. Questo punto è cruciale: per fare in modo che le Stablecoin servano il loro nome, è cruciale il backing in qualunque momento e con qualunque circostanza. Perché i soldi che ‘funzionano’ solo col beltempo non sono affatto soldi.