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Sulle stragi non dobbiamo accontentarci di una verità qualunque. La proposta di Mollicone (Fdi)

Di Federico Mollicone

Il 2 agosto ricorre l’anniversario della strage di Bologna. Il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, fondatore dell’Intergruppo parlamentare “La Verità oltre il segreto”, scrive a Formiche.net per sostenere l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta, dopo le rivelazioni sui legami del terrorismo interno e internazionale con le stragi e sulle attività di servizi segreti nazionali e stranieri

Tra il 1953 e il 1989, nel periodo storico definito «guerra fredda», l’Italia è stata terreno di scontro tra le grandi potenze mondiali interessate al ruolo strategico della nostra nazione e alle sue peculiarità sociali.
Da qualche mese ha iniziato il proprio iter parlamentare alla Camera dei Deputati la proposta, a mia prima firma ma voluta dall’Intergruppo parlamentare “La verità oltre il segreto”, volta a istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulle connessioni del terrorismo interno e internazionale con le stragi avvenute dal 1953 al 1989 e sulle attività svolte da servizi segreti nazionali e stranieri a tale riguardo.

Sulle stragi non dobbiamo accontentarci di una qualunque verità, ma dobbiamo ricercare la verità storica, oggettiva e definitiva. Lo dobbiamo alle vittime e ai loro familiari, ma soprattutto a tutte le vittime del terrorismo italiano.
L’istituzione di questa Commissione è un’occasione storica per chiudere la guerra civile strisciante che ha insanguinato per decenni la nostra nazione, comprendendo quali forze ne siano state le vere protagoniste e perseguendo una pacificazione nazionale, come immaginata dal senatore Alfredo Mantica nella sua attività all’interno della «Commissione stragi», che consegni alla storia la guerra a bassa intensità combattuta dalle potenze straniere sul nostro territorio.

I magistrati bolognesi hanno omesso di indagare su una pista di scenario internazionale legato alle dinamiche della Guerra Fredda: il patto segreto e allora inconfessabile, dalla stretta attualità, per cui l’Italia era sì alleata inserita nel contesto delle alleanze politico-militari occidentali ma si teneva al riparo da attentati da parte del mondo arabo grazie al “Lodo Moro” stipulato con i palestinesi dal Colonnello Stefano Giovannone, capo centro di Beirut dei servizi esteri italiani, soprannominato “Il Maestro” per la sua bravura nella tessitura di accordi, di diretta connessione con Aldo Moro.

La parziale declassificazione di un documento di Giovannone del 27 giugno 1980, infatti, segnalava la probabilità di «una situazione di pericolo a breve scadenza», parlando di «due operazioni da condurre in alternativa contro obiettivi italiani: dirottamento di un Dc9 Alitalia» od «occupazione di una ambasciata», a seguito di colloqui con una fonte di fiducia. Gli attentati di Ustica e di Bologna sarebbero, dunque, inseriti in uno scenario internazionale. Giovannone era l’ufficiale che avrebbe gestito il lodo Moro: un patto che gli avrebbe garantito libertà di movimento in cambio dell’immunità del nostro Paese dagli attentati.

Nel dicembre 1979, quando a Ortona furono sequestrati due missili terra-aria destinati alla rete di Habbash e un funzionario del Fronte popolare per la liberazione della Palestina fu arrestato a Bologna, i palestinesi ne chiesero il rilascio in base al lodo Moro. Dalla primavera 1980, quindi, il colonnello Giovannone avrebbe segnalato il rischio di ritorsioni, sottolineando come anche Gheddafi, sponsor delle frange palestinesi più dure, promesse un attacco all’Italia, con il rischio che l’attentato venisse affidato alla rete europea di Ilich Ramirez Sánchez alias Carlos «lo sciacallo».

Nella relazione sull’attività svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro si legge: «una delle principali acquisizioni è giunta dagli approfondimenti sulla dimensione “mediterranea” della vicenda Moro, con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence che fondavano la politica italiana, in particolare nei riguardi del Medio Oriente, della Libia e della questione israelo-palestinese. Gli approfondimenti sul ruolo dei movimenti palestinesi e del centro SISMI di Beirut hanno consentito di gettare nuova luce sulla vicenda delle trattative per una liberazione di Moro e sul tema dei canali di comunicazione con i brigatisti, ma anche di cogliere i condizionamenti che poterono derivare dalla collocazione internazionale del nostro Paese e dal suo essere crocevia di traffici di armi con il Medio Oriente, spesso tollerati per ragioni geopolitiche e di sicurezza nazionale».

Facciamo chiarezza: il 2 Agosto a Bologna erano presenti terroristi internazionali e italiani legati al gruppo di Carlos lo Sciacallo, esperti in trasferimenti di esplosivi, spesso per il Fronte per la Liberazione della Palestina, frangia marxista dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e in connessione con il KGB, e i libici, simili a quello esploso a Bologna o di attentati ai treni come quelli ad una stazione francese. Lo stesso Carlos ha confermato, grazie anche alla rogatoria con il giudice Bruguière, e ai documenti fatti acquisire dall’infaticabile e coraggioso lavoro di Gian Paolo Pellizzaro e Lorenzo Matassa in Commissione Impedian (“Mithrokin”) di cui mi onoro di essere stato consulente e di aver letto e lavorato con il compianto e indimenticato capogruppo di Alleanza Nazionale Vincenzo Fragalà, con Alfredo Mantica e con Enzo Raisi.

Siamo di fronte una situazione bipolare: da un lato, sentenze definitive; dall’altra una ricostruzione dei fatti che potrebbe condurre radicalmente da un’altra parte. C’è un’ampia letteratura e migliaia di documenti depositati negli archivi, ancora non disponibili per il segreto funzionale, superiore a quello di Bologna: le pubblicazioni del giudice Rosario Priore e dall’avvocato Valerio Cutonilli, così come sviluppate nel saggio “I segreti di Bologna”, del già citato Enzo Raisi, già deputato componente della commissione Mithrokin, nel saggio “Bomba o non bomba”, e del già deputato Gero Grassi in numerosi editoriali e interventi pubblici coraggiosi relativi ai cablogrammi del capocentro di Beirut dei servizi italiani, Stefano Giovannone, già pubblicati in uno scoop giornalistico de “Il Tempo”, a firma di Gian Marco Chiocci.

La tragedia umana della ottantaseiesima vittima ha fatto cadere tutte le certezze: il lembo facciale ascritto a Maria Fresu appartiene a un’altra donna e, non solo, i resti assemblati nella sua bara appartengono a due persone diverse. Dopo 40 anni i familiari non hanno più certezze, neanche dove sia finito il corpo della loro figlia. Presso i greci il ruolo del corpo nell’elaborazione del dolore era cruciale.

Lanciamo un appello alla sinistra politica affinché si possa, congiuntamente, costruire una storia finalmente nazionale della Guerra Fredda, partendo dall’istituzione della commissione d’inchiesta e dalla desecretazione degli atti relativi alle stragi in Italia. Vogliamo confrontarci con la sinistra sulle varie visioni così da ricostruire la verità, oggettiva, in una sede parlamentare.

Quest’oggi il ministro Cartabia parteciperà alla commemorazione della strage.
Ministro, dall’ultimo processo di Bologna e quelli precedenti emergono interrogativi urgentissimi: qual è stato il ruolo esatto degli “esecutori materiali”? Qual è stato il movente? Come si inserisce la strage indiscriminata in un percorso criminale sempre “mirato”? Chi ha fornito l’esplosivo? Perché nella sentenza si insiste sulla cosiddetta “pista palestinese”, ma non si è indagato? Poiché le perizie smentiscono che possa essere di Maria Fresu o di altre vittime già identificate, a chi appartiene quel lembo di volto riesumato? Che fine hanno fatto i resti della donna cui apparteneva quel lembo di volto?

Perché la sentenza smentisce categoricamente – pur a fronte delle perizie – l’esistenza di una 86a vittima? Che fine hanno fatto i resti di Maria Fresu? Perché si è comunque archiviata la posizione di Kram, pur a fronte del “residuo grumo di sospetto” sulla sua presenza (e quella della Fröhlich…) il 2 agosto 1980 a Bologna? Perché non si è indagato sulla contemporanea presenza di Thomas Kram e di Paolo Bellini il 28 febbraio 1980 all’Hotel Lembo di Bologna?

Non bisogna aver paura della Storia, né della rivendicazione del ruolo del Parlamento rispetto il potere giudiziario. Esistono dei problemi tecnici e giuridici sul processo a Bologna su cui auspichiamo che la sensibile ed equilibrata Cartabia possa intervenire acquisendo informazioni con urgenza, anche inviando ispettori.


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