Il gruppo è passato dalla prospettiva reazionaria e oscurantista dell’aniconismo più distruttivo alla serializzazione talvolta patinata della comunicazione strategica. Il secondo capitolo dell’analisi di Arije Antinori, professore di Criminologia e sociologia della devianza alla Sapienza di Roma
*Qui è disponibile il primo capitolo
Da circa un quarto di secolo, l’Afghanistan è il maggior produttore di oppio e eroina al mondo con la produzione del 90% – di cui il 95% riguarda il mercato europeo. Il traffico di oppio costituisce il 65% delle risorse dei talebani che negli ultimi anni si sono avvalsi della collaborazione di gruppi criminali organizzati per la produzione di eroina. Il finanziamento del terrorismo soprattutto attraverso il narcotraffico, grazie alle interconnessioni criminali e alla peculiarità transnazionale e policriminale delle reti attraverso cui è agito, ha favorito e continua ad accelerare il processo di ibridazione criminale che vede coinvolte tutte le entità operanti all’interno di tali reti, soprattutto in Africa e Asia. Ciò aumenta non solo la capacità operativa delle entità terroristiche, ma ne condiziona la visione geostrategica e le attività di outsourcing criminale, come quella relativa al sequestro di persona a scopo di estorsione. In tal senso, i talebani e al-Shabaab costituiscono un concreto esempio di tale evoluzione, all’interno dei rispettivi quadranti.
All’interno del tessuto clanico-sociale delle aree rurali, il processo di ibridazione criminale ha significativamente interessato qaedisti, talebani, capi locali e comandanti provinciali nella convergenza sul fronte del narcotraffico, in grado di superare tutte le barriere etniche, culturali e territoriali, contribuendo tra l’altro ad una elevazione orizzontalizzata dell’expertise militare.
Nell’ibridazione criminale le geometrie strategiche si ridefiniscono continuamente attraverso i principi di opportunità e interesse criminale, talvolta al di là dei contrasti ideologici. Quindi, si osserva il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, una delle maggiori entità terroristiche centro-asiatiche – che da tempo ha giurato fedeltà al Daesh –, già responsabile della serializzazione di attacchi in Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Pakistan ove si è insidiato, operare nel narcotraffico in cooperazione con i talebani.
Un rapporto simbiotico tra realtà criminali e terroristiche contraddistingue l’intera filiera del narcotraffico nella regione, dalla coltivazione, al trasporto, confezionamento e vendita. Qui, la difficile eradicazione del traffico dello stupefacente è data dal fatto che i talebani sono stati capaci negli anni di costruire stato sociale attorno all’intero indotto illecito, al contempo fornendo lavoro, garantendo sicurezza e taglieggiando le popolazioni locali di circa 10-15% del prezzo dell’oppio, così come “tassando” il transito dei trafficanti, in tal modo rafforzando la propria capacità militare. Quindi i tentativi di riconversione delle coltivazioni, come nel caso dello zafferano a Herat, sono estremamente limitati e relativi ad aree di ridotto interesse criminale. Tanto è vero che i talebani, grazie al supporto dei signori della droga e all’intelligence qaedista sono stati in grado di arrestare, con attacchi terroristici e operazioni di guerriglia, la campagna governativa antidroga condotta tra il 2008 e il 2012, senza tra l’altro particolari compromissioni in termini di proventi illeciti derivanti dal narcotraffico.
Il consolidamento transfrontaliero della “rete dell’oppio”, anche grazie alla diffusione di un vasto sistema di corruzione, ha determinato la destabilizzazione della sicurezza lungo i confini pakistani, tagiki, turkmeni e uzbeki, nonché favorito lo sviluppo parallelo del traffico di armi e di esseri umani, così consentendo anche la mobilità di soggetti di interesse per le stesse entità terroristiche.
I signori della guerra svolgono una funzione di intermediazione tra coltivatori d’oppio, talebani, qaedisti e rete Haqqani. Quest’ultima entità, cresciuta parallelamente al progetto qaedista di Osama bin Laden e Abdullah Azzam – di cui ne ha condiviso sin dal principio la prospettiva ideologica –, già collettrice nei primi anni di questo secolo di importanti fondi sauditi e imaratensi a sostegno dell’offensiva talebana anti Coalizione, rappresenta oggi l’elemento portante di un consolidato sistema di interconnessione criminale, soprattutto nelle zone pashtun, tra al-Qaeda, talebani pakistani, Movimento Islamico dell’Uzbekistan e Lashkar-e-Taiba in Kashmir. La rete Haqqani ha sviluppato e gestisce un sistema capillare di racket ed estorsione lungo le rotte del commercio – di cui sono stati vittime anche i progetti statunitensi di sostegno e sviluppo come Usaid –, così come l’indotto dei rapimenti, attività criminale in cui il supporto operativo di qaedisti e talebani risulta essenziale. Essa si caratterizza per l’importante penetrazione in numerose attività legali e illegali – anche al fine di beneficiare dei circuiti del riciclaggio internazionale –, tra cui l’edilizia afghana e pakistana, la catena dei centri di cambio valuta pakistani, l’import-export e il contrabbando di legname e cromite. Tutto ciò è stato facilitato in particolare grazie al ruolo di ministro degli Affari tribali ricoperto dallo stesso Nasiruddin Haqqani dopo la presa di Kabul da parte dei talebani nel 1994. La rete Haqqani che ha baricentro strategico tra il “micro-Stato” talebano del Nord-Waziristan – un’area chiave per gli equilibri jihadisti – e le province di Ghazni, Khost, Logar e Pakta, ha tra l’altro favorito a suo tempo la fuga in Pakistan di Osama bin Laden e dei vertici qaedisti. La rete ha inoltre collaborato con continuità con diversi mullah per il reclutamento di giovani jihadisti da destinare al combattimento, provvedendo al contempo alla raccolta di fondi hawala per il sostegno delle famiglie degli shahid anti Coalizione. La rete Haqqani è forse uno degli esempi più efficaci di ibridazione criminale tra terrorismo e criminalità organizzata, così come anche la D-Company che opera attraverso un modello similare ma che ha il suo baricentro strategico tra Pakistan e India, collaborando fattivamente con qaedisti, talebani, Boko Haram e Lashkar-e-Taiba che ha legami solidi con le reti jihadiste non solo in Afghanistan e con la rete Haqqani, ma soprattutto in Palestina, tra le milizie cecene che ha direttamente sostenuto e in Bosnia. Oltre alla consolidata rotta balcanica, al-Qaeda grazie alle proprie strutture satellitari risulta estremamente importante per la rete dell’oppio in quanto funge, da imprescindibile vettore di penetrazione dello stupefacente sia nel Sud-Est asiatico che attraverso il Sahel, implementando così l’efficacia delle rotte di convergenza mediterranea.
La propaganda jihadista nell’area si è caratterizzata, in estrema sintesi, negli ultimi anni per la netta opposizione di due principali narrazioni, quella del Daesh nel Khorasan fondante sulla purezza e esclusività dell’appartenenza al progetto di un nuovo Stato islamico attraverso l’azione centripeda, considerando che la jihaspora innescata dalla caduta di Raqqa e Mosul, ha consentito al Daesh di drenare in Asia centrale circa 10.000 foreign terrorist fighter già impiegati in Siria e Iraq. Al contrario, al-Qaed e al-Qaeda nel subcontinente indiano mantengono viva, principalmente attraverso al-Sahab, una narrazione propagandistica basata sull’opposizione al Daesh e sull’internazionalizzazione attraverso l’affiliazione transnazionale a livello globale.
La mediamorfosi del terrorismo ha interessato anche i talebani, seppur in forma minore, considerando la forte regionalizzazione delle loro narrazioni. A tal proposito, si segnala una trasformazione fondamentale in termini di comunicazione strategica internazionale che ha consentito ai talebani di passare dalla prospettiva reazionaria e oscurantista dell’aniconismo più distruttivo, alla serializzazione talvolta patinata della comunicazione strategica attraverso il proprio indotto digimediale di propaganda, nonché all’approccio “diplomatico”, attraverso interviste e conferenze stampa, che sta caratterizzando il post-conquista di Kabul. In tal senso, risulta necessario considerare che ogni forma di comunicazione talebana all’opinione pubblica ha la necessità in questo momento di raggiungere tre target così gerarchizzati: la comunità internazionale occidentale, i Paesi Mena e la gioventù afghana, mentre in termini negoziali tutti i canali sono aperti in forma riservata, in particolare con Stati Uniti, Cina, Russia e Iran per ridurre le criticità in essere nella delicata fase di delineazione degli obiettivi strategico-militari, commerciali e degli assetti governativi interni non solo riguardanti Kabul, ma il vasto territorio dell’intero Paese.
Si sottolinea, inoltre, come la presa della città da parte dei talebani, tra l’altro a poche settimane dall’anniversario degli attentati dell’11 settembre, sarà un evento che verrà ampiamente enfatizzato, richiamato e rilanciato nelle narrazioni della propaganda jihadista ove tutto sarà ricodificato in chiave offensiva, ma soprattutto secondo la retorica vittimistica già utilizzata in passato della “trappola” statunitense, dell’illusione occidentale, dell’inganno di libertà e prosperità, che nasconde lo sfruttamento delle risorse e il rafforzamento dell’“asse sionista”, di cui i musulmani in Afghanistan sarebbero stati vittima in questi venti anni e non solo. Ciò al fine di legittimare, motivare e ispirare azioni violente contro il Nemico lontano. In tal senso, vi è da segnalare che Hamas si è ufficialmente complimentata con i talebani per la loro vittoria che dà l’abbrivio alla liberazione di tutti gli oppressi, come dei palestinesi da Israele.
Occorre, infine, osservare come la questione afghana sia stata oggetto e possa ulteriormente divenire uno degli elementi strutturali più efficaci delle narrazioni propagandistiche anti Usa e antioccidentali, ampiamente disseminate in primis dalla Russia che, come abbiamo visto, ha interessi strategici primari in Afghanistan, nell’intera regione e che non esita a proporre costantemente parallelismi tra Afghanistan e Ucraina. La Sputnik spagnola promuove una lettura della situazione afghana in cui gli Stati Uniti avrebbero deliberatamente seminato il caos per colpire gli interessi russi e cinesi. Il sistema televisivo russo ha messo in primo piano il ridimensionamento degli Stati Uniti a “Stato regionale”, a “distributore di benzina danneggiato”. In attesa del lancio da parte della Russia di una campagna strutturata di attacchi disinformativi e ibridi di medio-lungo raggio attraverso l’ecosistema (cyber-)sociale, si segnala che il leader ceceno invitando alla massima attenzione, ha dichiarato che i talebani sono un “progetto americano”, mentre l’ambasciatore russo in Afghanistan sottolinea l’efficacia talebana a Kabul.
In conclusione, augurandosi che il ritiro statunitense dall’Afghanistan abbia definitivamente sancito la fine dell’applicazione strategico-militare, più o meno esplicita, del principio the enemy of my enemy is my friend che ha segnato il secolo scorso, in particolare il bipolarismo della Guerra fredda, nel quadro dei conflitti internazionali, occorre sottolineare che nella complessità di un mondo come quello contemporaneo, globalizzato e digitalmente interconnesso, tale approccio può generare impatti negativi non più esclusivamente di lungo termine e geopoliticamente limitati e/o contenibili a livello interstatale, ma potenzialmente in grado di destabilizzare e/o compromettere sistemicamente, anche nell’immediato, interi assetti macro-regionali, innescando così conseguenze distruttive a livello globale.