Giuseppe Pennisi ricorda il volo inaugurale del Roma-New York in 747 ed il Catania–Roma di pochi giorni dopo perché quasi simbolici della decadenza della compagnia area. “La svolta deve essere netta e non può non includere il contratto di lavoro e la scelta, su base esclusivamente professionale, degli addetti”
Nella mia lunga esperienza professionale ho sempre cercato di favorire “la compagnia di bandiera”. Nel lontano 1970 (allora lavoravo in Banca Mondiale) ero nel primo collegamento Roma-New York Alitalia in Boeing 747 Allora, la Banca Mondiale si vantava di essere un’organizzazione di “prima classe” e, di conseguenza, i suoi funzionari volavano “in prima classe”. A Fiumicino si era accolti, con eventuali accompagnatori, in una saletta riservata dove da caviale e champagne a salmone affumicato c’era di tutto. Il velivolo aveva arredi di gran lusso. Nella saletta da pranzo nella parte superiore, si poteva scegliere tra varie pietanze raffinate. Anche la selezione di film per accompagnare il volo rendendolo meno noioso era ampia ed includeva molti titoli in “prima visione” a Roma ed a Milano.
Considero il volo del 20 agosto, da Catania a Roma con AZ1712 come il mio ultimo viaggio Alitalia, nonostante abbia (in quanto titolare di una “carta oro” American Express) circa 100.000 “miglia” da smaltire. American Express mi ha assicurato che verrò “riprotetto”, mentre il numero dedicato della compagnia non ha saputo dirmi cosa avverrà e un addetto dell’ufficio stampa – sono iscritto all’Ordine da 54 anni – non ha saputo reagire che mandandomi al diavolo. Mi rendo conto che ha serie preoccupazioni.
Il 20 agosto nel Catania-Roma delle 17,30, l’aereo è diventato strapieno (ben al di là di quanto prevede la normativa sanitaria) perché una volta saliti a bordo i passeggeri normalmente prenotati, sono entrati numerosi altri passeggeri in stand-by che si qualificavano come “congiunti di dipendenti Alitalia”. In pratica, ogni fila ospitava sei non quattro passeggeri, senza alcun distanziamento e, quindi, con un maggior rischio di contagio. La hostess, a cui mi sono rivolto, mi ha detto che i regolamenti Enac consentono una deroga alle norme sui distanziamenti. Il “congiunto” seduto accanto a me ha aggiunto che con la fine di Alitalia e l’entrata in operatività dell’ITA (Italia Trasporto Aereo) si teme la perdita di alcuni privilegi (non ho capito quali) per i “congiunti” e, quindi, si vola adesso. Sono rimasto perplesso tanto più che sulla stampa del 21 agosto si legge che compagnie aeree low cost sono state multate per avere assegnato in alcuni dei loro voli un numero di posti superiore a quanto consentito dalla normativa anti Covid in vigore. Non è il caso che il management di Alitalia e l’Enac facciano un’indagine? Non la ho promossa per le vie ufficiali in quanto sarebbe stato “maramaldeggiare”, ossia “uccidere un uomo morto”, dato che la data della cessazione delle attività della compagnia è fissata e la regole europee richiedono piena e totale discontinuità tra il funerale di Alitalia e la nascita di ITA.
Ricordo il volo inaugurale del Roma-New York in 747 ed il Catania–Roma di pochi giorni perché mi sembrano quasi simbolici della decadenza della compagnia area. Il progresso tecnologico e le mutate condizioni del traffico aereo hanno comportato le fine di altre compagnie: ad esempio, Pan Am (chi non ricorda il Pam 111, che faceva ogni giorno il giro del mondo e decollava da Roma per New York alle 11 del mattino?), TWA con il suo magnifico terminal al John Fitzgerald Kennedy Airport), o Swissair, per non citare che alcune delle principali. Hanno fatto fini meno ingloriose di Alitalia che ha ricevuto circa 10 miliardi di aiuti pubblici, ossia di sovvenzioni degli italiani che pagano tasse ed imposte negli ultimi quindici anni mentre era da considerarsi tecnicamente fallita già nel 2002, come documentato quell’anno nel rapporto annuale dell’associazione Società Libera ed in numerosi altri studi. Venti anni in cui i contribuenti si sono dissanguati tentando di tenere in vita un cadavere.
Il volo nel 747 del 1970 e quello recente nell’Airbus Roma-Catania sono eloquenti nel mostrare almeno la superficie del degrado. Da un lato, l’apparente lusso (come malintesa prova di efficienza ed efficacia) accompagnato da una politica di assunzioni clientelari. Da un altro, rotte in perdita tenute in vita per compiacere localismi politici. Da un altro ancora, un costo del lavoro che – come sottolineato da anni dal servizio studi del Parlamento – è molto più elevato del resto del settore. Da un altro, poi, una flotta disomogenea e, quindi, molto onerosa. Da un altro, infine, i “privilegi” per i “congiunti” dei dipendenti che pare fruissero, sempre a spese dei contribuenti, di uno sconto ben del 90% sui prezzi dei biglietti “stand-by”. Questi e tanti aspetti del modello di business vanno rivisti drasticamente se ITA vuole volare a lungo sostenendosi da sola.
La svolta deve essere netta e non può non includere il contratto di lavoro e la scelta, su base esclusivamente professionale, degli addetti. Per questo mi sembra difficile poter sostenere lo sciopero programmato per il 24 settembre.