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L’effetto 11 settembre sulla politica estera Usa visto da Lucia Annunziata

Di Lucia Annunziata

La guerra anti-terrorismo svolta in Afghanistan non ha funzionato. La presenza americana non ha stabilizzato il Paese e ora con il suo ritiro lascia nuovamente aperto questo scacchiere. L’11 settembre ha posto l’accento sul disegno americano in Iraq, visto come una base per consolidare la sua influenza militare in Medio Oriente

Articolo tratto dal numero 172 della Rivista Formiche

Dopo l’11 settembre la politica estera americana ha abbracciato l’idea di poter stabilizzare il Medio Oriente, un’idea semplice che si è dimostrata fatale. Era una nuova prospettiva: impegnarsi in Medio Oriente, costruire lì una base certa, sicura, in modo da poter influenzare l’area piuttosto che continuare a essere solo una potenza esterna.

Il disegno era ribaltare sostanzialmente la situazione prendendosi un Paese che potesse diventare il punto di partenza dal quale attuare la politica estera americana in Medio Oriente. Questo ha significato la guerra in Iraq, cominciata sì prima del 9/11 ma che ha trovato nell’attentato terroristico un consolidamento delle idee americane, secondo le quali la loro presenza in Iraq poteva arrivare a garantire un posizionamento dentro l’area.

Il grande fallimento americano consiste proprio nell’aver considerato la guerra in Iraq la base per una nuova influenza militare nella regione. L’altro elemento che non ha funzionato è la guerra anti-terrorismo svolta in Afghanistan. La presenza americana non ha stabilizzato un potere, uno Stato, una democrazia nel Paese e ora con il suo ritiro lascia nuovamente aperto questo scacchiere.

È interessante osservare che dopo vent’anni il conflitto più lungo che abbiano avuto gli Stati Uniti finisca senza neanche una conferenza, una firma, un documento o anche solo un impegno. Si è detto che c’è un ritiro, in verità si tratta di una vera e propria ritirata, quando ormai la presenza americana e anche quella della Nato era diventata residuale. Di fatto non c’era più una situazione di guerra, c’era una situazione di stasi.

Appena si sono ritirati gli americani, si è constatato che non c’è stata una vera missione compiuta da parte loro: sono tornati i talebani, si dà per scontato che rimetteranno in piedi il proprio governo e c’è stato un immediato ricorso al massacro di tutte le forze militari che sembravano essere protette e che hanno lavorato con gli americani.

I talebani rappresentano adesso una sfida per la Cina, per l’India e forse un bonus per il Pakistan. Il fallimento di queste due campagne militari è legato soprattutto al fatto che, dopo la caduta di Saddam Hussein, ha vinto la parte sciita sui sunniti e l’America si è trovata disallineata. Era nello schieramento con gli sciiti in Iraq, ma ha poi sempre teso a collaborare con il ramo sunnita un po’ dappertutto. La presenza forte del governo sciita in Iraq ha aperto un buco nella rete della politica estera americana e mondiale.

Attraverso l’Iraq c’è stata un’espansione dell’Iran, espansione continuata con la guerra in Siria fino ad arrivare, via Hezbollah, anche nella Palestina e a Gaza. L’influenza degli sciiti, sottovalutata, è entrata in campo allargando il conflitto in un modo che probabilmente l’America non aveva previsto.

Oggi una sezione del nuovo conflitto è quello tra America e Iran. Laddove per lungo tempo tra i due Paesi si era creato una sorta di equilibrio, ora le cose vanno al contrario a causa del- la mancata realizzazione del piano di una democrazia sotto controllo dell’America e della costruzione di una nuova base americana in Iraq. Questo è stato e resta oggi il grande problema: Israele dalla seconda guerra in Iraq si è trovato di fatto esposto, mai come prima, al pericolo di attacchi da parte dell’Iran. L’America ha dovuto ricucire, con gli accordi di Abramo, i rapporti con alcune grandi case reali sunnite per costruire una protezione intorno a Israele.

Oggi il terrorismo di al Qaeda, al Nusr, è dormiente, sotto controllo nelle due aree sopra citate. La grande minaccia terroristica che ci aspetta viene dall’Africa, dove si sta proponendo in maniera molto diversa perché i terroristi africani, pur richiamandosi ad al Qaeda, non hanno mai creduto nel suo modello, il modello militare.

È un terrorismo pericoloso quanto quello di al Qaeda e l’America e il mondo occidentale in generale inizia a temerlo, ma soprattutto è diverso perché è un terrorismo grassroot che è difficile da smantellare proprio perché non ha una organizzazione verticale che si può individuare e distruggere livello dopo livello.

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