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La crisi dell’Afghanistan e la risposta dell’Europa

L’Europa ora si dovrebbe far sostenitrice di un’alleanza tra Paesi, a partire da quelli occidentali e non solo, per aiutare i popoli oppressi dai soprusi politici, sociali ed economici

Incredibile è la parola giusta per valutare ciò che è successo nei giorni scorsi in Afghanistan, durante il ritiro americano e dei Paesi Nato. Non penso però che si potesse fare diversamente o che sarebbe stato diverso se il ritiro fosse cominciato qualche mese prima. Difficile. Avremmo assistito alle stesse scene. La situazione è apparsa incredibile perché avevamo dimenticato l’Afghanistan e ciò che stava succedendo in quel martoriato Paese.

Sia l’opinione pubblica che molti governi sono rimasti “indifferenti” di fronte all’accordo fatto da Trump coi talebani per il ritiro. Un accordo senza il coinvolgimento del governo locale né degli alleati. Come se non li riguardasse. Tutti sono rimasti indifferenti, pronti però a dar il voto, con un’orgia di critiche senza confini. Spesso sono gli stessi che all’inizio erano contro l’intervento americano. Errori di valutazione sono stati commessi, se non altro sulla capacità di tenuta del governo e dell’esercito locale.

Gli Usa avrebbero dovuto capire da tempo che la loro risposta iper-aggressiva in Afghanistan, alla luce di quanto avvenuto in altre occasioni nel passato, anche recente, difficilmente avrebbe prodotto risultati positivi dal punto di vista militare e civile in un Paese difficile e complicato come l’Afghanistan, visto anche quanto avvenuto in Iraq. Paesi che non possono essere paragonati a quelli europei o al Giappone. Anzi. Cosa che invece gli americani si ostinano a fare. Ma, d’altro canto, cosa sarebbe stato senza gli Usa, anche in Afghanistan, di fronte al terrorismo ad un oscurantismo para-religioso che minaccia tutti noi ed i nostri paesi? Almeno dei semi comunque sono stati gettati. Bisogna sperare che germoglino.

Abbiamo dimenticato i talebani e l’eroina o quali erano le condizioni disastrate del Paese, la composizione etnica, la religione, l’arretratezza economica, politica, culturale, in particolare di donne e bambini. Dimentichiamo ciò che è successo sul terreno durante questi 20 anni, ecc., che non può essere solo responsabilità degli Usa, anche se ci piace pensarlo. Un terreno che i talebani, sostenuti dalla maggioranza degli afgani, non hanno mai abbandonato, essendo i padroni indiscussi dell’eroina. Una grande fonte di finanziamento, di arricchimento, di corruzione e di condizionamento anche degli altri paesi che hanno importato in tutti questi anni e “importano” l’eroina dalle mani dei talebani.

Molti commentatori dei nostri Paesi, invece, liberi di parlare e di manifestare, si affannano, dai comodi salotti di casa, a disquisire di strategie militari e di “democrazia”, se questa si possa o non si possa esportare, ecc., parlando di “fallimento” della missione o di “catastrofe” come ha fatto il commissario Ue Josep Borrell. Ma di che parlano? Nessuno si era posto questo obiettivo, praticamente impossibile. E l’Unione Europea dove è stata in tutto questo periodo? In Afghanistan, come in altre parti del mondo, gli Usa hanno fatto il lavoro sporco anche per conto degli altri paesi, Cina e Russia compresi, perché la lotta al terrorismo è un problema di tutti e non di un solo Paese. Adesso cosa faranno i Paesi vicini? E cosa faranno i talebani verso il loro popolo? È questa la domanda principale da porsi. Le prime risposte non lasciano certo ben sperare.

La democrazia è la nostra carta d’identità. Non può essere ridotta o giudicata con un approccio nichilista, come vorrebbe fare Cacciari, o considerata solo un problema organizzativo. Sarebbe pericoloso. La democrazia è, prima di tutto, il luogo dove si difendono, si rispettano e si applicano i diritti umani, i diritti fondamentali e i diritti sociali. Principi per i quali si sono battuti milioni di persone, molti dei quali lo hanno fatto, e lo fanno, a rischio della propria vita. Non è stato e non è invano continuare a farlo. Non lo è stato nemmeno in questi anni in Afghanistan. Dobbiamo adoperarci affinché non sia invano nemmeno oggi, in Afghanistan, così come in altre parti del mondo, Cina compresa, per intenderci, verso la quale abbiamo commesso errori gravi accettandola nell’Omc, come fosse un’economia di mercato ed un paese rispettoso dei diritti.

È questa la discriminante tra l’occidente e molti altri Paesi. Sono questi principi e valori che l’Occidente, con l’Ue in prima fila, dovrebbe rilanciare, con più impegno. La democrazia è un principio universale. Come è noto, in ambito Onu, già la dichiarazione di diritti dell’uomo del 1948 e il patto internazionale sui diritti politici e civili nel 1966 parlano di una società democratica, mentre la Dichiarazione del millennio, nel 2000, riconosce la democrazia come diritto dei popoli e fa riferimento all’impegno dei Paesi per promuoverla e rafforzarla. Ma la risoluzione dell’Assemblea dell’Onu del 24-10-2005 definisce la democrazia come “valore universale”, anche se ci possono essere modelli diversi.

Resta il dubbio su chi vigila sull’applicazione di tale principio, visto che l’Onu, purtroppo, non è una organizzazione democratica. Avrebbe bisogno di una riforma radicale per un adeguamento ai nuovi tempi, visto che gli Stati hanno perso la sovranità su molte materie. Un contributo può venire anche dai lavori che possono fare i G7, i G20, i Brics, ecc., tutti gruppi mirati a favorire accordi tra paesi su varie materie, solo che la realizzazione resta affidata alla “bontà” di ogni singolo paese, o alla legge del più forte.

L’Unione Europea, invece, sarebbe l’“entità” giusta per diventare il perno, o almeno uno dei luoghi principali della difesa e della diffusione dei diritti e dei valori della democrazia. Solo che, per poterlo fare, ha bisogno di cambiare pelle. Così potrebbe tornare ad essere il punto di riferimento ed il luogo dove i diritti umani, i diritti sociali e la democrazia trovano la migliore e la più diffusa applicazione. Tornerebbe sicuramente ad essere un modello attivo di riferimento e di propulsione. “Il centro” di una nuova elaborazione politico-culturale per favorire la diffusione e l’applicazione dei diritti fondamentali della persona e della democrazia in aree sempre più estese del mondo, un “modello” di democrazia partecipativa. È quello che l’Europa ha fatto, con alterne fortune, nelle varie fasi della sua storia. Oggi potrebbe essere di nuovo il suo momento. Riuscirà finalmente a capirlo o continuerà nel suo inesorabile declino?

Che risposta darà? Serve una risposta ai suoi limiti democratici e istituzionali, alla crisi afgana, alla crisi dei rifugiati, al problema delle migrazioni, del terrorismo, della sicurezza e della difesa che non possono più essere delegati agli Usa. L’Europa si dovrebbe far sostenitrice di un’alleanza tra Paesi, a partire da quelli occidentali e non solo, per aiutare i popoli oppressi dai soprusi politici, sociali ed economici. Paesi irrispettosi dei diritti, in mano a persone e governi senza scrupoli, padroni della droga, collusi con la finanza, coi paradisi fiscali, che tengono prigioniera la politica e la condizionano, anche da noi. Paesi coi quali non bisognerebbe commerciare. Una situazione che favorisce la diffusione della malavita e del mal costume che, unito all’uso strumentale e scorretto dei “social”, rischia di risucchiare anche le nostre democrazie. Segnali pericolosi li abbiamo già avuti. Questo è quello che bisognerebbe fare, anche per il bene di noi stessi, con i Paesi che ci stanno. Punto. Se non adesso, quando?

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