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Perché l’abito-manifesto di Ocasio-Cortez è una non-notizia

Siamo sicuri che ridare questa centralità al proprio corpo sia la migliore battaglia possibile? Il commento di Martina Carone, Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova

E così anche il Met parla di politica. La kermesse più glamour del mondo si tinge infatti di bianco candido su cui campeggia una scritta che è un slogan ma anche un programma politico: “Tax the rich”. Protagonista, Alexandria Ocasio-Cortez (“AOC”), deputata del Partito democratico per lo Stato di New York, osannata da una buona metà del mondo progressista (e guardata con sospetto dall’altra metà), capace di attirare l’attenzione su di sé grazie alle sue indiscusse abilità politiche e (soprattutto) comunicative.

Come dice lei stessa, infatti, the medium is the message.

Riprendendo una famosa citazione dello studioso Marshall McLuhan, AOC tiene a farci sapere quanto sia perfettamente consapevole del fatto che i canali utilizzati per comunicare un messaggio diventano, spesso, parte integrante del messaggio stesso. Il contenuto che si vuole comunicare assume, così, una forma e un supporto “visibile” (reale o virtuale, poco importa) e di conseguenza aumenta la propria forza, in funzione del significato che i canali stessi gli attribuiscono.

Per fare tutto questo, AOC questa volta si è presentata all’evento organizzato da Anna Wintour (icona di stile e della moda) con un vestito custom che, all’occasione, diventa manifesto politico. Lasciamo da parte le polemiche (poco utili) rispetto al costo del biglietto per partecipare all’evento (e comunque si tratterebbe di soldi destinati alla beneficienza, quindi poco male) e quelle (altrettanto poco utili) legate al costo del vestito (usciamo così dalla dinamica del fast fashion alla Inditex per cui un capo pagato poco sia di qualità o sia sostenibile), e sgombriamo subito il campo da un misunderstanding: di nuovo, qui, non c’è niente. Niente di particolarmente notiziabile, niente di scandaloso, niente su cui valga la pena soffermarsi più di un minuto. Il vestito-manifesto, infatti, è semplicemente il frutto di un’attenta pianificazione di un’occasione comunicativa. E, come tale, si inserisce pienamente nelle attività che competono alla figura di AOC.

In primis, perché non è la prima volta che l’evento di finanziamento più celebre del mondo lascia spazio a messaggi politici: in questo periodo storico, moltissimi personaggi pubblici si espongono in modo chiaro e netto rispetto a temi sociali. Lo fece Natalie Portman agli Oscar con la cappa e i nomi di registe non premiate; lo ha fatto, proprio nella stessa occasione di ieri sera, Cara Delevingne con la sua salopette “contro il patriarcato”; lo fa – in modo diverso – Billie Eilish rifiutandosi (fino a ieri) di indossare vestiti che l’avrebbero sessualizzata, distogliendo l’attenzione dalla sua arte.

Ognuno di questi esempi ha, peraltro, un grande filo conduttore: il ruolo della moda. Il che ci porta a ragionare sulla differenza tra abbigliamento e moda, costringendoci a distinguere tra il primo – mero prodotto del settore del fashion – e la seconda, capace di generare pensiero e linguaggi innovativi, legandosi a culture e a strutture sociali e scardinandole dal profondo, stravolgendo così l’ordine costituito: generando, insomma, effetti (anche) politici.

Soprattutto, non è cosa nuova perché da anni l’opinione pubblica racconta di come AOC sia molto incline a utilizzare nuovi linguaggi, a lanciare provocazioni, e molto capace di trovare una chiave di “notiziabilità” grazia alla quale veicolare al meglio i propri slogan politici. Le sue modalità comunicative – che alcuni definiscono poco diverse da quelle di altre fazioni – fanno leva su un abile mix di semplificazione, linguaggio semplice e diretto, e su un’ottima capacità di gestire i canali a proprio favore.

E il Met Gala non è solo una kermesse, è un megafono mondiale capace di generare attenzione rispetto allo slogan, alla proposta, ma soprattutto alla persona. In quest’occasione, AOC ha scelto (legittimamente) di portare il proprio corpo al centro della battaglia politica, facendolo divenire esso stesso uno strumento di comunicazione e di lotta.

Ma siamo sicuri che ridare questa centralità al proprio corpo (al di là della sua forma) sia la migliore battaglia possibile? Il mezzo è il messaggio, e la forma diventa parte integrante del contenuto. Ma non sempre – forse – sovrapporre i due piani è la scelta più giusta.

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