Quali saranno i possibili effetti sul nostro sistema politico non è facile dirlo. Probabilmente non ci saranno a breve, con Draghi che continuerà nella sua navigazione del Paese. Più interessante è provare a immaginare i contraccolpi che potrebbero esserci sul nostro sistema partitico-politico, alla ricerca di una identità e solidità perduta, a seconda dei diversi equilibri che si delineeranno a Berlino
I tedeschi vanno oggi alle urne nell’incertezza assoluta. L’unico punto fermo è che Angela Merkel, che ha dominato la vita politica tedesca (e non solo) per sedici lunghi anni, non sarà più cancelliera.
Poi nulla è sicuro: non solo quale (probabilmente per una manciata di voti) sarà il primo partito al Bundestag, ma nemmeno la coalizione che governerà il più grande Paese europeo influenzando l’intera vita del continente e soprattutto di quei Paesi, come l’Italia, che da sempre hanno un intenso interscambio non solo commerciale con la Germania.
In particolare, quali saranno i possibili effetti sul nostro sistema politico non è facile dirlo. Probabilmente non ci saranno a breve, con la navigazione del premier Draghi (che pure ha avuto nella Merkel una sponda amica non indifferente) che continuerà tranquilla in ogni caso nei prossimi mesi.
Più interessante è provare ad immaginare i contraccolpi che potrebbero esserci sul nostro sistema partitico-politico, alla ricerca di una identità e solidità perduta, a seconda dei diversi equilibri che si delineeranno a Berlino.
La prima ipotesi, cioè quella di una riproposizione della Grosse Koalition fra democristiani e socialdemocratici, allargata o meno a Verdi e Liberali, è sicuramente quella più in continuità con la politica tedesca attuale: darebbe un forte impulso ai programmi ambientalisti, ma li coniugherebbe con buon senso con le esigenze sociali e degli industriali (come ha ribadito Merkel ieri nel comizio di chiusura del suo partito ad Aquisgrana). Sul breve periodo non dovrebbe destare forti discontinuità nemmeno una “coalizione Giamaica”, come viene chiamata in Germania, guidata (probabilmente) da Cristiano Democratici e Cristiano-Sociali di Baviera, escludente i socialdemocratici ma aperta ai Verdi e ai Liberali.
La presenza dei liberali e le stesse evoluzioni democristiane, oltre ovviamente all’assenza del contrappeso socialdemocratico, potrebbero rendere però difficile in prospettiva l’obiettivo italiano di cambiare i Trattati europei in senso favorevole ai Paesi più deboli dell’Unione europea e di mettere definitivamente in cantiere o rendere più accettabile il “patto di stabilità”. La presenza dei Verdi in governo sarebbe più determinante, probabilmente, in una coalizione di sinistra guidata dai socialdemocratici di Olaf Scholz. E potrebbe imporre la linea alla alleanza in Italia fra Cinque Stelle e Pd, accentuando il carattere (già delineato da Grillo) di partito ambientalista del primo e dando una carica di fiducia al secondo. Paradossalmente una sconfitta dei democristiani potrebbe agevolare la destra italiana: essa rimetterebbe forse in questione la leadership di Armin Laschet, erede designato (ma non carismatico) della Merkel, e darebbe spazio, anche nel Partito popolare europeo, alle posizioni più conservatrici e al leader bavarese Markus Soeder.
Difficile ipotizzare che, anche senza la Merkel e con un leader debole, l’asse franco-tedesco che guida l’Unione possa essere messo in discussione. Sicuramente, con Draghi, l’Italia ha più opportunità di farsi ascoltare a Bruxelles. Soprattutto, la condizione di incertezza pre-elettorale in Francia (e le lunghe trattative che comunque ci saranno in Germania prima di formare il governo), apre una “finestra di opportunità” nei prossimi mesi al nostro Paese. Il quale, non solo deve mettere in moto i progetti di crescita e ripartenza avviati, ma anche cominciare a porre con più forza sul tavolo i propri interessi (ad esempio quelli relativi alla gestione comune del problema migratorio).