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Il Brasile in rivolta. Che cosa muove le proteste (e cosa c’entra Bolsonaro)

Previste una serie di proteste nella capitale brasiliana contro le ultime scelte della giustizia, e si teme un attacco simile a quello di Capitol Hill. L’appello di leader internazionale e la mossa (anti Facebook) del presidente

C’è tensione in Brasile. Il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, è impegnato per contenere la più grande manifestazione a livello nazionale nella storia del Paese. Le prossime elezioni presidenziali sono previste per il 2022 e annunciano una dura sfida tra Bolsonaro e l’ex presidente di sinistra, Luiz Inacio Lula da Silva.

Oggi, che si celebra la Giornata dell’Indipendenza del Brasile, ci saranno una serie di proteste. In molti temono che la giornata possa degenerare in qualcosa di simile all’attacco al Capitol Hill degli Stati Uniti. Ieri sono stati smontati i blocchi della polizia che impedivano l’accesso al centro commerciale di San Paolo.

Per il presidente Bolsonaro, queste manifestazioni rappresentano un “ultimatum” ai magistrati della Corte Suprema che hanno preso decisioni “incostituzionali” contro il suo governo. Recentemente, un tribunale ha autorizzato le indagini su alcuni alleati del presidente per presunti attacchi alle istituzioni democratiche del Brasile con l’utilizzo di informazioni erronee. Per il Congresso e i tribunali, la proposta di Bolsonaro di introdurre ricevute cartacee del voto elettronico può aprire le strade alla frode elettorale.

I più critici su Bolsonaro sostengono che stia seminando dubbi sulla legittimità delle elezioni del 2022, giacché i sondaggi indicano che è in svantaggio rispetto all’ex presidente Lula da Silva, che però ancora non ha confermato la candidatura.

La stampa locale brasiliana avverte che ci sono timori per un possibile colpo di Stato. Circa 150 personaggi, tra ex-presidenti, parlamentari e dirigenti politici di 26 Paesi, hanno denunciato il rischio di un’insurrezione che mette a rischio il sistema democratico del Brasile.

Tra i firmatari ci sono l’ex presidente del Paraguay, Fernando Lugo; l’ex capo di Stato della Colombia, Ernesto Samper; l’ex presidente dell’Ecuador, Rafael Correa; l’ex primo ministro della Spagna, Jose Luis Rodríguez Zapatero; il professore e linguista americano, Noam Chomsky; il Nobel per la Pace argentino, Adolfo Peréz Esquivel e l’ex ministro della Difesa brasiliano, Celso Amorim. Hanno aderito all’appello anche rappresentanti di Grecia, Gran Bretagna, Emirati Arabi Uniti, Francia, Nuova Zelanda, Australia, Ecuador, Cile e Uruguay.

Lula da Silva ha accusato Bolsonaro di incitare l’odio e promuovere scontri nella giornata di protesta. “Invece di annunciare soluzioni per il Paese, chiama le persone per lo scontro – si legge sui profili social di Lula da Silva -. Convoca atti contro i poteri della Repubblica e contro la democrazia, che lui non ha mai rispettato”.

Intanto, Bolsonaro ha firmato un decreto (in attesa di ratifica del parlamento entro 120 giorni) che esige dai fornitori di servizi digitali la dimostrazione della “giusta causa” che spinge alla cancellazione o sospensione di account social. Facebook, Twitter e Google si sono pronunciati contro questa misura, argomentando che cercano di limitare gli abusi in cui potrebbero incorrere gli utenti.

Secondo Facebook, il decreto “limita in modo significativo la capacità di contenere gli abusi nelle nostre piattaforme, principio fondamentale per offrire alle persone uno spazio sicuro di espressione” e “viola i diritti e le garanzie costituzionali”.



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