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Camionisti stanchi, pompe vuote. BoJo valuta l’esercito per la crisi della benzina

Lunghe code nelle stazioni di servizio britanniche per la mancanza di combustibile. La pandemia, la Brexit, i problemi sistemici del settore e la retromarcia del governo

Una scena quotidiana nelle principali strade del Venezuela si è drammaticamente replicata questo weekend nel Regno Unito. I cittadini britannici, preoccupati per la scarsità della benzina, sono corsi alle poche stazioni di servizio ancora aperte per fare rifornimento di combustibile.

A scattare l’allarme è stata la petrolifera British Petroleum (Bp), che ha annunciato di essere stata costretta a chiudere “temporaneamente” alcuni distributori di benzina per mancanza di carburante. L’impresa ha detto di essere impegnata per risolvere il problema e di volere dare priorità alle stazioni con più richiesta nelle autostrade. Altri operatori come la petrolifera Esso hanno confermato che un “piccolo numero” delle loro pompe si sono viste colpite dalla crisi.

Una crisi che, secondo gli esperti consultati dall’emittente Bbc, è dovuta alla combinazione di Brexit e pandemia: “L’industria del trasporto del Regno Unito si è vista colpita negli ultimi mesi per la mancanza di autisti di auto di carico pesante, che ha influenzato la catena di rifornimento del combustibile nel Paese”. Il settore di trasporto britannico ha più di 100.000 posti vacanti.

Per la pandemia Covid-19 migliaia di autisti non hanno potuto sottoporsi agli esami per la patente e, per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, molti altri sono stati costretti a tornare nel loro Paese di origine.

Il governo di Boris Johnson insiste che non c’è una mancanza di benzina, ma invita ad evitare il rifornimento se non è necessario. Un portavoce del premier ha dichiarato: “Ovviamente riconosciamo le sfide che affronta l’industria e stiamo prendendo misure per sostenerla”. In questo senso, il Dipartimento del Tesoro britannico sta programmando cambiamenti nel rilascio delle patenti per agevolare i tempi di consegna.

Il segretario per il Trasporto, Grant Shapps, sostiene che questa crisi è prodotto non solo della Brexit e della pandemia, ma di un problema sistemico del settore: il 99% degli autisti sono uomini bianchi, in media di 55 anni, sottoposti a dure condizioni di lavoro e stipendi bassi.

Il primo ministro Johnson ha annunciato l’offerta di “5.000 visti di tre mesi ai camionisti stranieri nel preludio di Natale per combattere la carenza di autisti che ha lasciato vuoti alcuni scaffali dei supermercati e causato lunghe code alle stazioni”, si legge sul quotidiano New York Times. “La decisione riflette l’allarme all’interno del governo per una continua interruzione delle forniture – prosegue la pubblicazione -. I britannici sono emersi da 18 mesi di letargo imposto dalla pandemia per trovare molte delle stesse afflizioni che il Paese ha avuto negli anni ‘70. I rischi per Johnson sono acuti”.

Questo perché da quando il Regno Unito ha completato la fase finale della Brexit a gennaio, i datori di lavoro non hanno potuto reclutare liberamente lavoratori europei e la pandemia ha aggravato una crisi che deriva da una carenza a lungo termine di camionisti britannici. Johnson è pronto a valutare un piano per utilizzare centinaia di soldati per guidare una flotta di cisterne di riserva.

Per il leader del Partito laburista, Keir Starmer, è servita sul tavolo l’opportunità di fare da contrappeso di Johnson. Trentacinque pagine per 10 comandamenti; dal dare sempre priorità alle famiglie di lavoratori, alla partnership del governo con l’economia privata. Onestà, decenza, patriottismo… i concetti espressi nel documento sono piuttosto vaghi e condivisibili, anche dai conservatori. Ma, secondo i critici, il laburista deve ancora fornire agli elettori britannici una chiara ragione per sostenere il partito di opposizione.

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