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Crisi energetica, ecco perché l’Ue fatica a riempire le riserve di gas

Ai venditori di gas liquefatto conviene vendere in Asia (e Sud America). La Russia tiene l’Ue a stecchetto, la Norvegia esporterà di più. Ecco perché la crisi energetica europea rischia di aggravarsi con l’arrivo dell’inverno

Non conviene sperare negli Usa per ripristinare le magre riserve di gas naturale europee, uno dei driver principali della crisi energetica che sta investendo l’Europa. Nonostante il prezzo del gas naturale liquefatto sia alle stelle nel Vecchio Continente, come riporta il Financial Times, ai venditori “spot” conviene comunque piazzare il prodotto sul mercato asiatico.

La risorsa, in qualità di combustibile “ponte”, è cruciale per la transizione ecologica. Secondo il rapporto di Shell la domanda globale di gas liquefatto crescerà dalle 360 milioni di tonnellate odierne a 700 nel 2040. Oggi Cina e India sono in pole position e lo stanno fagocitando, complice la necessità di supportare il rimbalzo economico post-pandemico.

Il risultato, ampiamente previsto, è che il mercato europeo – collegato a Paesi fornitori mediante gasdotti – può contare meno su forniture “spot” anche nel momento del bisogno. I Paesi ricchi di gas naturale ed efficienti nel liquefarlo per il trasporto (come gli Usa, terzi esportatori al mondo dopo Australia e Qatar) trovano clienti asiatici e sudamericani con minore accesso a forniture alternative e, gioco forza, tasche più profonde.

Il prezzo del gas liquefatto è triplicato in Europa da inizio anno, ma è ancora lontano dal battere lo standard asiatico. Le stesse preoccupazioni di affrontare l’inverno con riserve scarseggianti sta portando i Paesi orientali ad accumulare la risorsa, attirando la piccola percentuale di gas liquefatto non allocato mediante contratti di fornitura a lungo termine.

Anche Gazprom, il principale fornitore di gas “classico” dell l’Ue (secondo Eurostat copre il 41% del fabbisogno), ha gli occhi sull’Asia. Non solo il gigante energetico russo ha ridotto i volumi in direzione del Vecchio Continente rispetto ai livelli prepandemici, ma l’ad del gruppo Alexei Miller (il quale  sostiene che Gazprom stia rispettando i termini di fornitura) ha detto che conviene di più indirizzare il surplus verso i mercati asiatici.

Diversi europarlamentari sospettano che Mosca stia trattenendo le proprie risorse per mettere pressione su Bruxelles in modo da velocizzare l’apertura del gasdotto Nord Stream 2, completo ma inattivo per ragioni burocratiche. Intanto l’International Energy Agency (con base a Parigi) ha chiesto alla Russia di aumentare le forniture.

Una magra consolazione, invece, arriva dalla Norvegia. La statale Equinor, seconda solo a Gazprom per volumi esportati in Europa (16% del fabbisogno, dati Eurostat), ha annunciato lunedì che avrebbe aumentato la produzione e le esportazioni di gas naturale verso l’Ue. Poche novità da Algeria e Qatar, responsabili rispettivamente per l’8% e il 5% delle importazioni.

Nel frattempo gli amministratori delle più grandi compagnie di settore si sono trovati a Dubai, dove martedì è iniziata la conferenza Gastech, una tre giorni in cui ci si aspetta che la scarsità di forniture globale e i “mercati impazziti” siano a centro tavola.

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