Skip to main content

Draghi racconta il rapporto con Merkel. E un retroscena sulla crisi dell’euro

Di Massimo Nava

Pubblichiamo l’intervista di Massimo Nava a Mario Draghi contenuta nel libro “Angela Merkel. La donna che ha cambiato la storia” (Rizzoli). “Una straordinaria leader, autenticamente europea, intelligente, sempre preparata, gentile. Tra noi grande rispetto e fiducia reciproca. Se ho bisogno di consultarmi, le telefono e lei fa altrettanto”. Invece il rapporto del premier con Schaeuble era ben diverso: “Gli dissi che, se voleva buttare fuori la Grecia, lo doveva fare lui, ma che non poteva chiederlo alla Bce”

Tra Francoforte e Berlino

«Le tre parole più potenti nella storia delle banche centrali»: così Christine Lagarde, succeduta a Mario Draghi alla presidenza della BCE, ha definito il celebre «Whatever it takes», pronunciato dal suo predecessore nel 2012. Parole scolpite in un’epoca, come «Il dado è tratto» o «Parigi val bene una messa», che sintetizzano, in un battito di ciglia, vicende finanziarie d’immensa complessità e che saranno la medaglia sul petto dell’uomo che le ha pronunciate. Fare «tutto il necessario» ha significato salvare l’euro, mentre incombevano la crisi finanziaria internazionale e i rischi di implosione dell’Unione Europea.

Ma l’impresa sarebbe stata possibile senza il sostegno convinto di Angela Merkel? È uno degli interrogativi più affascinanti nella biografia della cancelliera, se si ricorda come in Germania si moltiplicassero critiche e ostacoli di ogni genere alle decisioni della BCE di procedere al famoso «bazooka», il massiccio acquisto di titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà. La Merkel era combattuta, rispettosa del mandato della BCE, ma al tempo stesso attenta agli interessi della Germania. Un conflitto che si sarebbe trascinato fino alla crisi della Grecia.

Draghi ha pronunciato quelle parole a Londra, nell’estate del 2012. Borse e mercati hanno reagito subito. Due giorni dopo, Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno diffuso una dichiarazione: «Occorre fare tutto il possibile per proteggere la moneta europea». Ma la cancelliera si trova in una posizione scomodissima: gli applausi arrivano infatti da tutti i Paesi europei meno che dalla Germania.

«Non ci furono accordi o compromessi preventivi» ricorda Draghi, che ho intervistato nel giugno del 2021. «La decisione fu presa in seno alla BCE, nel pieno rispetto dei trattati e del nostro mandato. Resistenze e critiche sorsero dopo, praticamente soltanto da parte tedesca, dalla Bundesbank, dal mondo politico e dall’opinione pubblica. Del resto, la Bundesbank era titolata a farlo, anche se si trovò in minoranza per tutto il periodo della mia presidenza. Ad Angela Merkel va riconosciuto di aver sempre difeso l’indipendenza della BCE e il rispetto dei trattati. E non è mai intervenuta nelle polemiche. Per la Germania, la moneta unica è un sigillo di europeismo, ma non va dimenticato – per comprendere le resistenze – quanto il Paese avesse politicamente investito nel processo, a partire dall’abbandono del marco.»

Mentre veniva lanciato il piano della BCE, la cancelliera si è trovata al centro di un fuoco incrociato di critiche, aperte opposizioni e ostacoli di varia natura in casa propria. Già il suo appoggio alla designazione di Draghi al vertice della BCE («Conosco Draghi. È una persona di grande esperienza. La sua posizione è molto vicina alle nostre idee per una cultura della stabilità e una solida politica economica. La Germania potrebbe sostenere la sua candidatura») aveva suscitato una reazione «patriottica», nel presupposto, non ingiustificato, che, dopo la fine del mandato del francese Jean-Claude Trichet, la presidenza dovesse toccare a un tedesco.

«La Merkel ha abbandonato il candidato tedesco» è stata l’accusa lanciata dall’ex ministro degli Esteri, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier. Il candidato tedesco era Axel Weber, a sua volta dimessosi dalla presidenza della Bundesbank in contrasto con le politiche monetarie non convenzionali della BCE, avviate da Jean-Claude Trichet. Naturalmente, la Merkel non ha mosso un dito e si è guardata bene dall’entrare nella diatriba. Di fatto, il cammino di Draghi verso la BCE è diventato un’autostrada.

Risolto il problema della candidatura, il fuoco incrociato delle polemiche si attizza ancora di più quando Draghi lancia il famoso bazooka. I due grandi oppositori di Draghi, e quindi della Merkel, furono nientemeno che il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il successore di Weber alla Bundesbank, Jens Weidmann, peraltro ex consigliere economico della cancelliera e notoriamente suo pupillo. Gli scontri fra Draghi e Schäuble, in sede di Eurogruppo, sono stati memorabili. «Lui» commenta Draghi «ha un’idea di unione monetaria “à la carte”, da cui si possa o si debba uscire per rientrare dopo aver messo i conti a posto. Per questo, sosteneva l’uscita della Grecia. Gli dissi che, se voleva buttare fuori la Grecia, lo doveva fare lui, ma che non poteva chiederlo alla BCE.»

Schäuble sosteneva che la politica della BCE penalizzasse i risparmiatori tedeschi e favorisse indirettamente, nell’elettorato del Paese, l’euroscetticismo e l’ascesa dei populisti. Weidmann era convinto che il programma della BCE, oltre a essere finanziariamente e politicamente sbagliato, fosse in contrasto con i trattati e lo ha sostenuto anche davanti ai giudici della Corte costituzionale tedesca.

Weidmann sognava di essere il successore di Draghi alla BCE, tanto da cambiare tardivamente registro per conquistare consensi. Ma la cancelliera non lo appoggerà, lasciando così cadere una seconda candidatura tedesca. Alla nomina di Draghi, la «Bild-Zeitung» ne aveva fatto un elogio a tutta pagina, considerandolo una sorta di cittadino onorario, un «tedesco», una personalità affidabile per gli interessi della Germania. Il presidente, in occasione di un’intervista, ha ricevuto in dono un elmetto prussiano, come per sottolineare ciò che i tedeschi si aspettavano da lui.

Ma qualche mese dopo la «Bild» titola: Signor Draghi, la smetta di regalare soldi agli Stati in bancarotta. «Mi chiesero indietro l’elmetto» ricorda Draghi, «ma dissi che i regali non si restituiscono.» Un quotidiano economico, «Handelsblatt», lo raffigura mentre si accende un sigaro con una banconota da cento euro. Il conservatore «Die Welt» sentenzia che il programma di Draghi è la più evidente violazione dell’indipendenza della BCE.

Ricordare questi intermezzi giornalistici serve a immaginare lo stato d’animo di Angela Merkel nei momenti in cui cercava di contenere le critiche dei custodi della Bundesbank e di non farsi condizionare dagli umori dell’opinione pubblica tedesca. Mario Draghi, peraltro, parlava la sua stessa lingua nel riaffermare la necessità che i governi adottassero rigorose politiche fiscali e riforme strutturali per favorire la crescita e l’occupazione. «Era però complicato far comprendere che il problema non era fare contenti i risparmiatori tedeschi alzando i tassi d’interesse, ma che occorreva far circolare denaro per sostenere l’economia e le imprese, ovviamente anche quelle tedesche!»

Per quanto avessero storia personale e formazione diverse, tra i due c’è sempre stata forte sintonia. Educazione protestante e gesuita possono intendersi. «In tutti questi anni, ci siamo sentiti e confrontati spesso» ricorda Draghi, che, fra le personalità italiane, è quello che la conosce meglio. «Ho incontrato una straordinaria leader, autenticamente europea, intelligente, sempre preparata, gentile, sia quando si tratta di esporre le proprie idee sia quando vuole esprimere il proprio disaccordo.»

Alla fine ha accettato anche i coronabond, che molti considerano l’anticamera degli eurobond. Per una che aveva detto no «finché sarò in vita» è stato un grande passo, anche se la Merkel resta convinta che i tempi in Germania non siano ancora maturi per rompere il tabù monetario. Mario Draghi e Angela Merkel si sono incontrati al vertice del G7 in Cornovaglia, nel giugno del 2021. È stata la prima uscita internazionale per il neopresidente del Consiglio e probabilmente l’ultima per la Merkel.

«L’abbiamo festeggiata» ricorda il premier italiano. Ho chiesto al presidente del Consiglio se fossero anche amici. «Se per amicizia s’intende uscire a cena e mangiare una pizza insieme, direi di no. C’è grande rispetto e fiducia reciproca. Se ho bisogno di consultarmi, le telefono e lei fa altrettanto.» Con la fine del mandato di Draghi alla guida della BCE, si è aperta, oltre alla partita per la sua successione, quella della presidenza della Commissione europea.

Qui comincia un capolavoro di mediazione da parte del presidente francese Emmanuel Macron. A Parigi, avrebbero voluto Christine Lagarde alla guida della Commissione, ma la candidatura non era gradita a Berlino, e la Merkel non poteva permettersi di lasciare alla Francia una poltrona così ambita. A quel punto, Macron, propose alla cancelliera una coppia di regine: Ursula von der Leyen alla Commissione europea e Christine Lagarde alla BCE. La Lagarde, sessantacinque anni, lunga esperienza negli Stati Uniti, ex ministro dell’Economia con Sarkozy, aveva diretto il Fondo monetario internazionale dopo la fragorosa caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto nel 2011 dallo scandalo su abusi sessuali ai danni di una cameriera dell’albergo Sofitel di New York.

«Sulla Lagarde mi hai detto di no una volta, non puoi dirmi di no una seconda» avrebbe detto Macron  alla cancelliera. In fin dei conti, la soluzione andava bene anche a lei. Il compromesso raggiunto ha posto una donna tedesca a capo della Commissione e punta a garantire la continuità della politica della BCE con una donna francese al comando.


×

Iscriviti alla newsletter