“Meno male che Draghi c’è! Però non basta”, spiega Filippo Rossi, leader del movimento “La buona Destra”, a Formiche.net, che aggiunge: “Dobbiamo reinventare una destra normale, sana di mente, Gentile”. Il nemico? “Quest’idea di centrodestra unito, che altro non è che un’operazione mediatica, sintattica”
150 comitati de “La Buona Destra” spuntano in tutta Italia. Il leader del nuovo movimento Filippo Rossi, alternativo e rispettoso della policromia partitica, è anche l’autore di “Dalla parte di Jekyll, manifesto per una buona destra”, edito da Marsilio. L’ideologo di Gianfranco Fini ripudia l’inclinazione paranoica della destra estrema, cita Zygmunt Bauman, bolla il propagandismo salviniano e l’agenda politica di Giorgia Meloni come “la parte insoddisfatta della storia”, sostiene Carlo Calenda alla corsa verso il Campidoglio, crede nel sogno europeo ma non nei partiti…
“Non è proprio così. Semplicemente, ritengo che il partito non sia lo strumento assoluto della politica. C’è qualcosa che va oltre le categorie novecentesche. I partiti sono dei corpi intermedi essenziali, il mezzo appunto, ma non possono essere il fine della democrazia liberale”.
Nel manifesto valoriale definite la vostra nuova creatura politica “la destra responsabile”. A quale cultura politica di riferimento siete legati? Chi è il nemico?
È chiaro che il nemico non è Matteo Salvini, né Meloni. In Italia, diversamente dal resto d’Europa, vige una preponderante anomalia: non esistono due destre. In Francia esiste la destra neogollista e la destra lepenista. Trattasi di due realtà alternative. Anzi, oso di più: Marine Le Pen non vince mai proprio perché c’è una destra gollista che si oppone al sovranismo e al radicalismo. Insomma, due recinti politici distinti e distanti. Tuttavia, come ben sappiamo, la politica è un fenomeno osmotico. Quindi, se l’estrema destra arriva al 30% vuol dire che c’è un disagio sociale capace di compromettere gli equilibri propri del sistema democratico. Nella democrazia liberale, la destra estrema ha un valore perché funga da spia di disagio, di rabbia sociale…
Sostanzialmente, è un termometro…
Esatto. Dobbiamo reinventare una destra normale, sana di mente, gentile. Per rispondere alla sua domanda, il nostro nemico è quest’idea di centrodestra unito, che altro non è che un’operazione mediatica, sintattica. In poche parole, non ha senso. Questo centrodestra non è unito da 10 anni! Bisogna prendere atto che ognuno di noi deve e può abitare case diverse. Non esiste il campo del centrodestra. Esistono le destre con tutte le rispettive sfumature: la destra estrema, la destra sovranista, quella cattolica, quella liberale. Questo non esclude né preclude potenziali alleanze o futuri percorsi comuni, ma è necessario che vi sia libertà anche e soprattutto nel momento in cui giunge il tempo dei tavoli, delle trattative…
Parliamo delle vostre posizioni in merito alle scelte del governo Draghi: green pass, ipotesi dell’obbligo vaccinale, riapertura totale delle scuole. Nella fase post-covid, quali sono le priorità per il Paese?
In primis, lasciatemelo dire: meno male che Draghi c’è! Però non basta. Draghi irrompe nel momento in cui la politica non ha saputo più decidere. Un film già visto con l’insediamento di Ciampi, e successivamente con Mario Monti. Queste “apparizioni” sono un sintomo di debolezza del sistema politico italiano, poco funzionale e quindi costretto a “delegare” al Draghi di turno. Sinceramente, vedo ancora poca creatività. Troppi conti e poco rinascimento. La nostra concezione di spesa pubblica non implica in maniera automatica la contrazione del debito. Temo che avremo tante scuole munite di Wi-fi, ma non una rielaborazione dell’architettura scolastica. Non credo che gli edifici avranno a disposizione un teatro, una piscina, un campo di calcio…luoghi normali che caratterizzano un paese occidentale. Dobbiamo prendere atto che il sistema scolastico in Italia non è strategico, guardando una statistica europea possiamo evincere che uno dei problemi della redditività italiana è proprio questo settore…
Trasferiamoci sul piano europeo. Lei propone gli Stati Uniti d’Europa, auspica un’unità fiscale, bancaria e militare. Proposte che ricordano il programma elettorale “Siamo Europei” firmato da Carlo Calenda. Qual è il vostro posto in Europa? Come guardate al gruppo di Visegrad?
Quello è sovranismo puro, egoismo nazionale. All’Europa serve solidarietà, serve una corazza politica per poter diventare una super potenza mondiale. Perché senza un’Europa forte, qualsiasi stato europeo piccolo o grande che sia, verrà ridotto ad un vaso di coccio. Dico di più, altrimenti può apparire una mera questione utilitaristica. Se passasse un ragazzo armato di kalashnikov, il terrore sarebbe la nostra prima reazione. Idem a Varsavia, in Norvegia, a Berlino. Perché la nostra è una cultura e un’antropologia antica. Altri Paesi, compresa l’America, non beneficiano di un patrimonio del genere.
Vede, qualsiasi intellettuale, di destra o di sinistra, qualsiasi capo di stato dell’Unione, Macron o Merkel, persino i “ribelli inglesi” sono convinti che di fronte alla nuova situazione geopolitica, una supremazia valoriale comune sia l’unica risposta possibile. L’Europa ha fatto notevoli passi in avanti. Basti pensare al debito comune, risultato che una semplice alleanza internazionale non sarebbe stata in grado di realizzare. Però, sarebbe illusorio credere “al tutto e al subito”, all’imminente. C’è bisogno di un passaggio ulteriore. Già pensare ad un piano di difesa comune significherebbe avviare un processo di integrazione vera.
Quando dicono gli italiani non sono i francesi, i francesi non i tedeschi, quando nel libro parlo di idea imperiale, in senso metaforico e letterario, intendo dire che la diversità altro non è che l’essenza dell’idea imperiale. Ad esempio, l’Italia è una realtà comunale, e abbiamo constatato un certo grado di antagonismo territoriale anche tra le regioni durante il periodo pandemico. Voglio dire, uno stato federale non prevede un’armonia assoluta. È normale che convivano contrasti interni, interessi eterogenei da salvaguardare. Ma solo all’interno di questa concezione d’Europa, forte e unita, abbiamo la possibilità di giocare un ruolo di primo piano in campo internazionale.
Le politiche di austerity hanno nutrito le formazioni nazionaliste…
Mi sembra chiaro che l’Unione non possa ripercorrere quel sentiero, già battuto e fallimentare. Ma un problema italiano esiste, non nella quantità della spesa, ma nella qualità. Perché basta dare un’occhiata ai bandi ministeriali e regionali per notare l’esistenza di una serie di scelte sbagliate. Se non rimettiamo al centro la qualità di quello che spendiamo, produciamo solo statistiche. Cosa significa investimenti? Per l’Unione anche le rotatorie sono investimenti. Forse, sarebbe prioritario riqualificare qualche periferia per applicare a pieno il termine “investimento”. Se si realizza una pista ciclabile lunga 100 metri che va dal nulla verso il nulla, secondo il parametro europeo e statistico sono investimenti, in realtà sono soldi buttati. Non dimentichiamo i tagli orizzontali di Tremonti, quell’approccio fu sbagliato. Dobbiamo rivendicare un approccio verticale, una decisione politica.
La Buona Destra come interpreta la tragedia afgana?
Lettura di destra? Abbiamo visto Joe Biden proseguire il lavoro di Donald Trump. Ergo, non c’è spazio per una dicotomia tra destra e sinistra. Tutt’al più possiamo parlare di un’evoluzione geopolitica. Alcuni livelli di responsabilità internazionale stanno cambiando. Una cosa è certa: dopo un intervento del genere, non è ammissibile tagliare la corda in quel modo. Perché il territorio in questione era divenuto, forse senza volerlo, un protettorato occidentale. Piuttosto, è giusto domandarsi quale sia il ruolo dell’Europa in questa faccenda.
Purtroppo, non avendo una difesa comune non ha voce in capitolo. Abbiamo provocato un danno enorme al popolo afghano, dandogli una speranza, creando una classe borghese, per poi far evacuare 200.000 persone. I più evoluti. Così facendo abbiamo rispedito quella nazione indietro nel tempo, sottraendo risorse umane importanti. Un errore dell’America, una figuraccia per l’Europa. Una colpa che si perpetua dal 1989, dalla caduta del muro di Berlino. Quando, stoltamente, decretammo in coro: la storia è finita. Senza porci il problema di un update. Invece, a Berlino avevamo il dovere di smentire quella vulgata e di riprendere il filo del discorso, di scrivere una nuova pagina di storia. Ricavare il principio dalla fine.
Forza Italia e Lega potrebbero fondersi in un’unica forza. Cosa ne pensa?
In una situazione in cui Salvini viene messo ai margini, Giorgetti prende il sopravvento (sempre che ne abbia voglia), è chiaro che può nascere qualcosa di positivo a destra. I segnali ci sono. Tenga conto, che in questo scenario la Lega di Giorgetti e Zaia tornerà ad essere la Lega del Nord. Dunque, ci sarà, ancora una volta, il problema della casa della destra liberale. Noi non pretendiamo di essere soli. Diciamo che, se si avvierà un serio processo di aggregazione, di costruzione di un soggetto liberale ed europeo, noi saremo dentro. Mi dispiace per alcuni amici di Forza Italia, ancora succubi di una narrazione lontana, un racconto che li tiene sotto botta a due movimenti sovranisti.
Ma insomma, come spiegare ai tedeschi che una forza di governo come la Lega di Giorgetti condivide, in Europa, la stessa casa di Alternative für Deutschland? Salvini è andato a Milano a fare un comizio con l’Internazionale nera! È Giorgetti che deve staccare la spina! Dare una sterzata! Invece, nessuno sbattei pugni sul tavolo, nessuno parla. I leghisti preferiscono aspettare il cadavere adagiati sulle sponde del fiume, per evitare di essere travolti dalle conseguenze del “vince chi ha sempre ragione”. Nonostante l’ascesa dirompente di Marine Le Pen, i repubblicani francesi hanno continuato a battagliare contro il nazionalismo nero fino a vincere le regionali. Le posizioni politiche non si occupano in base allo spostamento dei rapporti di forza.