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La guerra alle Big tech inizia in Corea

Di Lorenzo Santucci

Governi vs big tech, la rivoluzione digitale passa per Seul prima che a Bruxelles. Una nuova legge della Corea del Sud fa tremare la Silicon Valley. E potrebbe fare scuola anche in Ue e Usa

Il pericolo numero uno per Apple e Google arriva dal Corea del Sud. L’emendamento che il governo si sta apprestando a varare – inserendolo all’interno del Telecommunications Business Act – provocherà una rivoluzione digitale, in quanto a cambiare saranno le modalità di pagamento tramite le app dei colossi del tech.

Quello che si vuole creare è un sistema plurale delle piattaforme di vendita, volto a creare una concorrenza leale che, al momento, è del tutto subordinata alle varie Google Play e App Store.

Dopo il rinvio di lunedì, oggi è stato approvato il disegno di legge – il primo che si muove in modo così netto sul monopolio della vendita di beni digitali – da parte del Parlamento e si attende solo la firma del presidente Moon Jane-in per trasformarlo in legge. Un particolare di poco conto, dato che il suo partito si è schierato nettamente a favore di tale misura. Un passo che riceverà senza dubbio il plauso degli sviluppatori, costretti a sottostare alle regole delle piattaforme in quanto le uniche due leader sul mercato.

I creatori di app, infatti, si sono fortemente lamentati che le commissioni sugli acquisti eseguiti su piattaforme Apple arrivino a superare il 30%. La stessa percentuale con cui le autorità della Korea Communications Commission, che regola i media nel Paese, minacciano il taglio delle vendite in app in caso di violazioni della legge da parte delle aziende, oltre a multe pari al 3% delle vendite annuali e sanzioni pari a 275mila dollari. La misura, inoltre, interviene anche sulle ingiustificate attese per l’approvazione delle app nei rispettivi store e gli obblighi di esclusiva richiesti in determinate circostanze.

“Anche se non è stata ancora approvata, temiamo che la legge sia frutto di un processo affrettato, che non tenga in giusta considerazione la posizione dei consumatori”, ha dichiarato il direttore senior delle politiche pubbliche di Google, Wilson White. “Solo quando entrerà in vigore, tuttavia, potremmo valutarne le conseguenze e adottare i necessari accorgimenti per continuare a fornire a tutti l’esperienza migliore”.

Dall’altra parte, Apple avverte come una legge simile sarà sinonimo di danno per gli utenti, maggiormente esposti al rischio di frode nonché alla violazione della privacy. D’altronde, per i due giganti tech il mercato asiatico rappresenta una fonte di guadagno non indifferente. Se guardiamo alla sola Corea del Sud, due anni fa Google e Apple hanno incassato rispettivamente 5,2 miliardi e 2 miliardi dalle loro piattaforme di app. Gli sviluppatori che avrebbero fatto affari con l’azienda di Cupertino ammonterebbero a 482mila per un guadagno complessivo di 7,3 miliardi di dollari. Insomma, conviene ad entrambi.

Così come conviene in altri parti del mondo, ma la strada intrapresa dai vari governi sembrerebbe seguire quella di Seul. Con grande interesse guardano Unione europea e, soprattutto, Stati Uniti, dove già sono in corso cause giudiziarie e dove la Apple ha concesso agli sviluppatori di poter ricevere i propri compensi senza dover passare direttamente dal suo sistema.

A tutti quelli che avrebbero guadagnato meno di un milione di dollari all’anno, inoltre, è stata proposto un taglio sulle commissioni del 50%, passando così dal 30% al 15%. Ma negli Usa si sta muovendo qualcosa anche a livello istituzionale, con una proposta di legge molto simile a quella approvata in Sud Corea avanzata da tre senatori e con 36 Stati (su 50) che hanno avviato cause anti trust contro il monopolio dell’azienda di Sundar Pichai.

Da parte sua, l’Ue ha inserito nel Digital Markets Act alcune disposizioni contro le grandi società tech. A loro, si aggiunge l’Australia con l’eloquente posizione del ministro del Tesoro, Josh Frydenberg. “Se non facciamo nulla per riformare il quadro, la Silicon Valley determinerà il futuro di una parte fondamentale della nostra infrastruttura economica”. Per i giganti del tech, dunque, si preannunciano tempi duri.


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