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Italia-Israele, una questione politica. L’opinione di Pennisi

In attesa dell’udienza a Tel Aviv, l’opinione pubblica, e i media israeliani sono divisi in due fronti molto netti: la “sinistra” chiede il rispetto della Convenziona dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minori, mentre la “destra” lancia accuse contro la magistratura italiana (che sarebbe “inaffidabile”) e contro il nostro Paese in generale

Questa testata non si è occupata del rapimento del piccolo Eitan Brian Aya, unico sopravvissuto alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, perché non tratta normalmente di cronaca. Sfogliando, però, la stampa internazionale e, soprattutto quella di Israele, ci si accorge che la vicenda trascende la cronaca. In attesa dell’udienza di oggi a Tel Aviv, l’opinione pubblica, e i media israeliani sono divisi in due fronti molto netti: la “sinistra” chiede il rispetto della Convenziona dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minori, mentre la “destra” lancia accuse infamanti contro la magistratura italiana (che sarebbe “inaffidabile”) e contro il nostro Paese in generale.

A questo punto, occorre essere chiarissimi. In punta di diritto, sia l’Italia sia Israele hanno firmato e ratificato la Convenzione dell’Aja del 1980 che è chiarissima in materia. Le procedure che si applicano sono le seguenti se, come nel caso del piccolo Eitan, c’è stato un rapimento:

• lo Stato di residenza abituale prima della sottrazione e lo Stato in cui il minore è stato portato (Stato di rifugio) hanno entrambi ratificato o aderito alla Convenzione dell’Aia del 1980 e hanno reciprocamente accettato l’adesione dell’altro Stato;

• il minore sottratto ha meno di sedici anni di età. Al compimento del sedicesimo anno, la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria;

• la persona che richiede il ritorno è il titolare della responsabilità genitoriale sul minore e al momento della sottrazione esercitava effettivamente le corrispondenti funzioni.

La titolarità della responsabilità genitoriale e i relativi diritti e doveri vanno verificati alla luce della legislazione in vigore nello Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale prima del trasferimento. L’articolo 8 della Convenzione spiega che chi ha il diritto di chiedere il ritorno del bambino può rivolgersi all’autorità centrale della residenza abituale del minore per assicurare il suo ritorno. La domanda deve contenere le informazioni sull’identità del richiedente e del minore, i motivi per esigere il suo rientro e ogni altro documento pertinente. La risposta deve essere data con urgenza e se non arriva entro sei settimane si può inoltrare un ulteriore reclamo.

Un parere congiunto di esperti dei ministeri degli Esteri e della Giustizia israeliani ha già sancito che quello che ha fatto Schmuel Peleg può essere definito un rapimento. Quindi, il bimbo dovrebbe, insieme alla zia affidataria, rientrare subito in Italia, dove la Procura di Pavia ha aperto un fascicolo nei confronti di Schmuel Peleg, la sua ex-moglie e l’autista che ha portato nonno e nipote in Svizzera per rapimento. L’indagine dovrebbe fare il suo corso e, se del caso, portare a processo i responsabili del rapimento ed a giusta pena.

La stampa della destra israeliana disconosce quasi la Convenzione dell’Aja e sostiene che normativa e magistratura del loro Paese, provenendo direttamente dai Dieci Comandamenti biblici, sono indubbiamente superiori a qualsiasi legge e magistratura di altri. Il collegio di avvocati a supporto di Schmuel Peleh sta cercando cavilli per ritardare di mesi la consegna del piccolo al fine di fargli iniziare l’anno scolastico ad Israele e, poi, sostenere che ormai si è integrato nella nuova Patria ed allontanarlo gli causerebbe turbative.

A questo punto, la questione è diventata squisitamente politica. L’Italia che ha spesso appoggiato (o non aggiunto il proprio voto negativo a quello di altri) Israele su questioni dubbie (gli insediamenti di coloni in terre palestinesi, l’incorporazione di Gerusalemme Est, il trattamento discriminatorio nei confronti di cittadini israeliani non di fede ebraica), deve farsi sentire. Per la dignità del Paese e delle sue istituzioni, deve farlo al livello più alto. Roma deve alzare la testa e dire ai vertici dello Stato ebraico che la non restituzione immediata del piccolo avrà conseguenze molto gravi nei rapporti non solo dell’Italia ma dell’intera Unione europea con Israele. È in corso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Roma può aggiungere il proprio voto e quello di altri Paesi dell’Ue alle numerose sanzioni che chiedono sanzioni internazionali nei confronti di Israele.

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