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Italia nei Five Eyes? Si può. Vito (Copasir) spiega come

Bando alla retorica: dopo i tentennamenti degli ultimi anni, fra russofilia e occhiolini alla Cina, l’Italia può rimettersi in carreggiata. Come? A Washington si aprono le danze per ampliare l’alleanza di intelligence dei Five Eyes. Dopo il contraccolpo Aukus, Roma può rilanciare con Joe Biden. Il commento di Elio Vito, deputato di Forza Italia e componente del Copasir

L’Italia ha un’occasione storica. E non mi riferisco alle pur necessarie riforme collegate ai fondi del Pnrr per far ripartire il Paese dopo la pandemia. Parlo della nostra sicurezza, non di quella percepita o di quella oggetto troppo spesso di propaganda, ma della vera sicurezza, che è legata alla prevenzione e dunque alle attività di intelligence. Ed è una sicurezza inevitabilmente e logicamente legata alla nostra postura internazionale, alla lealtà ed alla profondità delle nostre alleanze.

Prima di vedere quale è questa occasione ora a nostra disposizione, occorre fare un piccolo passo indietro nel tempo, tornare all’inizio di questa legislatura. Quando, per la prima volta dal dopoguerra, l’Italia, non solo per come è parsa agli occhi dei suoi alleati ma per come si è concretamente comportata, ha assunto una collocazione internazionale dissonante con il suo storico e saldo legame atlantico.

Il governo gialloverde, del Movimento Cinque Stelle e della Lega, dalla sottoscrizione del memorandum con la Cina da parte del ministro Luigi Di Maio alle dichiarazioni di sentirsi a casa sua in Russia del ministro Salvini, ha avuto comportamenti chiaramente contrastanti con la nostra tradizionale alleanza con gli Stati Uniti.

Anche in passato, nei decenni scorsi, la politica estera italiana aveva mostrato di interpretare la sua appartenenza alla alleanza con un certo grado di autonomia e fantasia, soprattutto, ma non solo, nello scenario mediorientale. Ma si trattava sempre di un’autonomia funzionale e non concorrente con gli obiettivi dell’alleanza, utile a diversificare le relazioni, in un gioco di squadra e di ruoli.

Con il primo governo Conte, invece, l’Italia è stata seriamente e in modo preoccupante attratta dalle altre potenze mondiali. E la pervasività di questa attrazione ha mostrato tutta la sua forza, durante il governo Conte 2 (che pure ha per molti versi ristabilito la nostra corretta postura atlantica), nella drammatica realtà della immediata gestione dei primi aiuti dopo lo scoppio della pandemia.

Poi c’è l’europeismo del nostro Paese. Un europeismo giustamente sempre difeso, ma che ha subito e subisce due pesanti crisi di credibilità. La prima, dovuta al diffondersi anche in Italia tra le forze politiche più populiste di un certo sentimento sovranista e a volte anche nazionalista. E la seconda, attualissima in queste settimane, dovuta alla tentazione che una certa idea dell’Europa possa servire ad “affrancarsi” dagli Stati Uniti, percepiti sempre più distanti.

Entrambi questi sentimenti, il sovranismo e la pretesa autonomia dell’Europa, rappresentano in modo diverso lo stesso tentativo di allontanarci dalla nostra naturale collocazione atlantica. Sono quindi errori e sono tentazioni da respingere. Solo il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, in questi anni complicati ha saputo tenere dritta la barra delle nostre alleanze internazionali, difendendo a chiare lettere il multilateralismo e la nostra indiscutibile appartenenza alla Ue ed alla Nato.

E proprio nel discorso tenuto nei giorni scorsi in occasione dell’anniversario della Nato, il Capo dello Stato ha chiarito che una futura difesa comune europea non può che essere complementare all’Alleanza atlantica, a differenza della superficialità con la quale se ne è parlato anche nelle nostre Aule parlamentari in queste settimane.

Non potrebbe essere diversamente, considerato che, soprattutto nei confronti della Cina, permangono tra i 27 Paesi dell’Unione posizioni e atteggiamenti diversi, che mostrano contraddizioni e a volte anche vere e proprie ambiguità di fondo.

Dopo questa lunga premessa, veniamo alla questione. Durante il tradizionale annuale discorso al Parlamento europeo la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha parlato anche dell’esigenza di trovare una qualche forma di integrazione, e non solo di una collaborazione, pure dei servizi e delle attività di intelligence tra i Paesi dell’Unione. Si tratta di una prospettiva sicuramente interessante, alla quale guardare con favore, ma che sconta i limiti e le difficoltà, di cui si diceva in precedenza, dovuti alla assenza di una vera politica estera europea.

La vera occasione per il nostro Paese, finalmente ci sono, è rappresentata dalla dichiarata volontà degli Stati Uniti di allargare ad altri Paesi la già esistente e ben strutturata alleanza tra i servizi di intelligence di Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito. Questa volontà di ampliamento smentisce un’asserito disinteresse degli Stati Uniti a rafforzare le relazioni atlantiche, pur in un comprensibile mutato scenario di una maggiore presenza nel Pacifico.

L’Italia, per la riconosciuta professionalità e capacità dei nostri servizi, per la solidità e l’affidabilità dei rapporti sempre mostrate, anche in questi anni, ha sicuramente le carte in regola e tutto l’interesse per aderire a un ampliamento della cosiddetta alleanza Five Eyes.

Resta da chiarire qual è e quale sarà la nostra volontà politica. Il canto ambiguo delle sirene della pretesa centralità europea è la nuova modalità per portare il nostro Paese fuori dalla rotta sicura della corrispondenza dei nostri valori democratici, liberali, anti autoritari con la nostra sicurezza. Fuori di questa rotta sicura, ci sono solo rischi, quelli di andare a sbattere contro gli scogli o quelli di farci giungere in porti illusori, che non solo si rivelerebbero insicuri, ma ci farebbero perdere la nostra libertà.


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