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La campagna replicante. Slogan, tic e luoghi comuni nella comunicazione politica

La campagna elettorale permanente è ben presto mutata in una campagna ripetente: invece di cercare un’autenticità si preferisce ripetere, con annessi errori e orrori, ciò che si è fatto altrove. Domenico Giordano di Arcadia rintraccia cinque tipologie di campagne che da Nord a Sud si ripetono anno dopo anno in barba a schieramenti e candidati

Per Sidney Blumenthal “l’ideologia politica della nostra epoca” è la campagna elettorale permanente, caratterizzata da una comunicazione, o come diremmo oggi, da una narrazione che si trasforma in strategia politica senza soluzione di continuità. Un flusso ininterrotto e polarizzante che colma il vuoto tra un’elezione e l’altra.

Dal 1980, anno in cui l’ex consulente di Bill Clinton ne codificò i caratteri, la campagna elettorale permanente, in particolare con l’esplosione dei social network, è diventata anche il fardello dei politici e dei candidati nostrani.

In Italia, però, la campagna elettorale permanente è ben presto mutata in una campagna ripetente, nel senso che invece di cercare un’autenticità si preferisce ripetere, con annessi errori e orrori, ciò che si è fatto da altre parti. Tanto che è possibile rintracciare cinque tipologie di campagne che da Nord a Sud si ripetono anno dopo anno anche in presenza di candidati e contesti totalmente differenti.

Si comincia con Insieme, avverbio tipico del vocabolario propagandistico, che ha smarrito del tutto quella capacità di mobilitazione popolare che aveva un tempo. Nella prossima tornata elettorale tra gli altri lo utilizzeranno con poca fantasia, Luca Bernardo e Marco Cosimetti candidati del centro-destra a Milano e Assisi. Ma, prima di loro, hanno avevano già scelto di puntare su Insieme, Marco Bucci (Insieme Vince Genova) nel 2017, Anna Amoroso (Costruiamo il presente. Insieme) nel 2020 a Termini Imerese e Angelino Alfano per la comunicazione dell’Ncd alle europee del 2014.

Altro classico, un evergreen iper abusato in particolare dai candidati uscenti, è un diverso avverbio, quell’Avanti che è stato adottato da qualche settimana dalla sindaca di Roma, Virginia Raggi per lanciare la sua campagna elettorale. Avanti era anche Stefano Bonaccini, presidente uscente dell’Emilia Romagna rieletto a gennaio dell’anno scorso, che chiedeva ai suoi corregionali di fare “un passo avanti”. Mentre, per rimanere in terra emiliana, nel 2016 è stato Virginio Merola a chiedere ai bolognesi di riconfermagli la fiducia e la fascia tricolore (Andiamo Avanti, Insieme). Ma, il candidato che più di tutti è riuscito nell’impresa di valorizzare l’avanti è stato nel 2016 Enio Pavone, candidato sindaco a Roseto degli Abruzzi, che nella stessa campagna elettorale è passato da “Avanti per Roseto” ad “Avanti per Andare Oltre”.

Un terzo avverbio che ha ritrovato la sua centralità nella comunicazione politica grazie alla fiammata sovranista e populista è Prima. Qui, ovviamente, la matrice leghista è quella più forte e anche più elastica. In pochi anni, siamo partiti da Prima il Nord a Prima l’Italia, per poi adattarsi a secondo delle convenienze elettorali a Prima i Campani e Prima Napoli, che compare nel simbolo leghista a sostegno di Catello Maresca.

Così come non mancano le altre declinazioni geografiche, “Latina Prima di tutto” (scelto da Marco Zaccheo, attuale candidato sindaco del centro-destra) o la “Riccione Prima di tutto” che ha circoscritto la campagna di Renata Tosi nel 2017. Oppure, ci sono le declinazioni valoriali oltre a quelli di comunità. “Prima i nostri” adottato dal consigliere regionale leghista Emanuele Monti nel 2018 e un più generico “Prima le Persone” lanciato dalla lista L’Altra Europa con Tsipras alle Europee del 2014 e ripreso poi da Nicola Zingaretti nel 2019, per lanciare la sfida a Martina e Giachetti alle primarie democratiche.

 

Ma, questa breve ricognizione degli slogan ripetenti non può dirsi completa senza le appendici verbali di Riparte e di Cambiamo. Una ripartenza, però, che stenta a ingranarsi perché già nel 2006 l’allora Ulivo prodiano spingeva la nazione a non star ferma. E, anno dopo anno, si sono moltiplicate le false partenze.  Nel 2016 l’attuale sindaca non ricandidata Chiara Appendino, strappò la fascia tricolore a Piero Fassino con un “punto. Torino Riparte”. L’anno scorso sono ripartite Vignola, comune del modenese con la sindaco Emilia Muratori, e Venaria Reale, in Piemonte con il primo cittadino Fabio Giulivi, mentre, non sono riusciti nell’intento di far ripartire le loro comunità, solo elettoralmente in quanto sconfitti dalle urne, Emilio Tomasi candidato sindaco ad Ariccia e Alessandro Tartaglione a Marcianise.

Infine, il grand tour delle campagne passe-partout italiane si conclude con l’evocativo Cambiamo, utilizzato anche nella variante all’infinito Cambiare. Anche in questo caso la maglia rosa del Giro non la porta sulle spalle un solo ciclista, infatti, da Milano (con Giuliano Pisapia nel 2011) a Torino passando per Santa Maria Capua Vetere (Raffaele Aveta candidato con “Cambiamo Davvero”) e scollinando verso Lecco (con Peppino Ciresa che ad ottobre del 2020 al ballottaggio ha perso la poltrona di sindaco per meno di trenta voti) la richiesta di cambiamento è all’ordine del giorno. Paolo Damilano, candidato civico sposato dal centro-destra a Torino sfida Stefano Lo Russo, suo alter ego di centro-sinistra, ricordando ai suoi concittadini, qualora ne avessero bisogno che “c’è da cambiare”.


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