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Letta studia da leader ma dà un assist a Salvini. La bussola di Ocone

Sullo ius soli e sul ddl Zan, con tono quasi sprezzante, catalogandoli come urgenze, il segretario del Pd nell’ultima giornata della Festa dell’Unità ha detto che saranno approvati entro questa legislatura. Che poi i voti per farlo non ci siano, poco importa: a lui serviva marcare un terreno e aspettare al varco l’avversario, che probabilmente non aspettava altro… Passi e azzardi di Letta nella rubrica di Corrado Ocone

 

La nomina di Enrico Letta a segretario del Pd un effetto sicuro l’ha avuta: le tentazioni più o meno proporzionalistiche che affioravano ogni tanto con forza nel suo partito, ma anche nei Cinque Stelle, fino a pochi mesi fa sono state messe in congelatore.

Sicuramente è anche una questione di cultura politica: l’imprimatur ulivista e bipolarista del segretario fa sentire il suo peso. Ma forse è anche una scelta calcolata, una mossa politicamente studiata. Se, infatti, il problema del Pd è quello oggi di non avere un’identità forte, questa la si può acquistare solo per contrapposizione netta e radicale all’avversario politico facendolo diventare una sorta di nemico metafisico. Nulla di nuovo sotto il sole si dirà, ma in verità qualche novità nella riproposta da parte di Letta di questo antico canovaccio è dato vederla.

Apparentemente, il governo di Mario Draghi non avrebbe dovuto facilitare questa operazione, nascendo come una sorta di governo di unità e coesione nazionale con tutti dentro. Ma alla prova dei fatti, essendo così drammaticamente sproporzionata la forza decisionale dei partiti rispetto a quella del premier, quest’ultimo può tranquillamente permettersi anche aspri litigi nel cortile di casa consapevole che poco o nullo danno potranno essi arrecare al perseguimento dei suoi obiettivi lungo una via che scorre perciò sostanzialmente dritta.

Il discorso tenuto da Letta a chiusura della Festa dell’Unità di Bologna è risultato particolarmente significativo se si fa propria la nostra linea di interpretazione. Il primo obiettivo era quello di accentuare l’alterità: ecco perciò la mossa di estremizzare la destra. Un’operazione che un tempo fu fatta con Silvio Berlusconi, che si diceva avesse “sdoganato i fascisti” o addirittura che fosse “mafioso”, e che ora viene naturale farla con i partiti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, “alleati con polacchi e ungheresi”. Con il sottinteso che la “destra normale”, la “destra buona”, è un’altra cosa, che è poi nulla più che la vecchia pretesa che la sinistra ha sempre avuto di volersi scegliere un avversario ideale rispetto a quello realmente esistente.

Secondo passo da compiere era logicamente quello di individuare quei punti di maggiore frizione con l’avversario, e quindi di provocarlo e indurlo a rispondere per le rime. Il che appunto come nemico avrebbe finito per confermarlo. In questo caso, lo ius soli e il ddl Zan si prestano a meraviglia all’obiettivo: con tono quasi sprezzante, catalogandoli come urgenze, Letta ha detto che saranno approvati entro questa legislatura. Che poi i voti per farlo non ci siano, poco importa: a lui serviva marcare un terreno e aspettare al varco l’avversario.

L’azzardo però più grande Letta lo ha fatto proponendo il Pd come il perno della coalizione di centrosinistra, la quale andrebbe costruita appunto attorno ad esso. Anche questa è una ipotesi che non fa i conti con gli attuali rapporti di forza in Parlamento. E nemmeno con le ambizioni di Giuseppe Conte, fino a poco tempo fa accreditato dallo stesso Pd come il naturale punto di equilibrio della costituenda coalizione di centrosinistra.

Si è trattato anche di un colpo cinicamente assestato da Letta allo stesso Conte, che è alle prese con un partito che a volte sembra sfuggirgli di mano e che con una evidente e manifestata stanchezza fisica e mentale. Con queste mosse Letta si è posto sicuramente come leader, ma in qualche modo ha anche accreditato come leader dell’altra parte Salvini. Senza citarlo, ha avuto gioco facile ad apostrofare certi innegabili tentennamenti della Lega sul green pass, arrivando persino a dire che “il vaccino è libertà”.

Salvini, probabilmente, non aspettava altro che questo assist per dimenticarsi dei problemi con la Meloni e cominciare a sparare decisamente a manca. Ciò è puntualmente avvenuto, anche se probabilmente sul tema specifico del pass il segretario della Lega non può combattere ad armi pari. Che però i problemi della libertà e della salute diventino in genere il nuovo campo di gioco (bio) politico non è qualcosa che però può far piacere a chi pensa che certi temi non andrebbero strumentalizzati. Né da una parte e né dall’altra. Un bipolarismo vaccinale non è prospettiva allettante. Così come vedere la libertà ridotta ad una siringa è per un liberale, comunque la si pensi, alquanto deprimente.

 

 

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