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Dopo la maximulta a WhatsApp, l’Irlanda volterà le spalle a Big Tech?

Francesca Bassa, avvocato esperto in privacy e partner dello Studio bd LEGAL di Milano, spiega le ragioni per cui la sanzione irlandese “è significativa” sia per l’Irlanda sia per l’Ue

È storica la recente sanzione con cui la Data Protection Commission (DPC) irlandese ha comminato una sanzione di 225 milioni di euro a WhatsApp Ireland per aver violato le leggi sulla privacy dei dati dell’Unione europea.

L’app di messaggistica non avrebbe “assolto ai suoi obblighi di trasparenza” per quanto riguarda la comunicazione agli utenti sull’utilizzo dei dati, ha concluso l’ente irlandese dopo un’indagine avviata nel dicembre 2018. La sanzione inizialmente decisa dall’Irlanda è poi stata rivista al rialzo su richiesta da parte dell’EDPB (European Data Protection Board). WhatsApp ha fatto sapere di ritenere le sanzioni “del tutto sproporzionate” e ha annunciato che ricorrerà in appello. Oltre a una sanzione amministrativa, l’Autorità ha anche imposto un ammonimento e un’ingiunzione a WhatsApp di rendere conforme il proprio trattamento adottando una serie di azioni correttive specificate.

La decisione “è significativa perché ci fa riflettere sul ruolo dell’Autorità privacy irlandese che ha assunto finora una posizione strategica per le aziende americane che proprio in Irlanda hanno la loro sede legale e sulle modalità di applicazione del Gdpr da parte delle Big Tech”, ragiona con Formiche.net Francesca Bassa, avvocato esperto in privacy e partner dello Studio bd LEGAL di Milano.

Che poi sottolinea un “aspetto fondamentale”: cioè che la decisione deriva da un’attività di indagine congiunta tra l’Autorità di controllo capofila (quella irlandese) insieme alle altre Autorità interessate nell’Unione europea nei confronti di WhatsApp. “L’Autorità è intervenuta cooperando con le altre rappresentanze istituzionali dei Paesi membri”, evidenza l’esperta di diritto delle tecnologie.

“Da un punto di vista procedurale”, prosegue Bassa, “si evidenzia il meccanismo di cooperazione ai sensi dell’articolo 60 del Gdpr che consente un’applicazione omogenea e uniforme della normativa privacy in favore dei cittadini europei, oltre al fatto che la sanzione decisa dall’Autorità irlandese è stata rivista al rialzo dal Comitato europeo per la protezione dei dati ”.

Emerge quindi, conclude l’avvocato Bassa, “come da un lato l’Autorità irlandese sia da tempo nell’occhio del ciclone perché da sempre pare godere di un forte potere anche piuttosto autonomo nello svolgimento delle sue attività nei confronti delle Big Tech; dall’altro il ruolo centrale fondamentale svolto dal Comitato europeo per la protezione dei dati quale organo di risoluzione delle controversie nel contesto di casi transfrontalieri”.

A dimostrazione del primo elemento evidenziato dall’esperta, a fine agosto il presidente francese Emmanuel Macron è stato in visita a Irlanda. Incontrando il primo ministro Michael Martin ha confermato la solidarietà e il sostegno di Parigi a Dublino “per mantenere l’unità all’interno dell’Unione europea” (con riferimento alla Brexit) ma ha anche fatto capire che rimane un nodo aperto: quello della tassazione dei giganti della tecnologia, che in Irlanda sono tassati solo al 12,5% mentre sono ben 130 i Paesi in tutto il mondo che hanno sottoscritto un accordo per un’aliquota globale minima del 15 per cento, come suggerito dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. “Sul piano della crescita economica, negli ultimi dieci anni l’Irlanda ha ottenuto dei risultati straordinari”, ha detto il presidente francese. “Ma ora le cose sono ovviamente cambiate. ll mondo post Covid è un mondo nuovo che probabilmente richiederà un cambiamento profondo del nostro tradizionale modello economico”.

È la conferma che l’Irlanda rimane centrale sul dossier tech. Rimane però da vedere quanto Dublino sia disposta a voltare le spalle a Big Tech sotto la pressione di Parigi e Bruxelles.

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