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Moro vinse il duello sul centro-sinistra ma il golpe fu una fake news. Parla Mario Segni

Un tuffo nel passato con Mario Segni, padre della stagione referendaria degli anni ’90, figlio di Antonio (presidente della Repubblica e ministro Dc) in libreria con “Il colpo di Stato del 1964. La madre di tutte le fake news”

Mario Segni, il padre della stagione referendaria degli anni ’90, figlio di Antonio (presidente della Repubblica e ministro Dc), si racconta a Formiche.net sul presunto golpe del ’64. Per la sinistra fu un “colpo di Stato”, per Segni “la madre di tutte le fake news”. Si tratta di un tuffo nel passato necessario per capire quanto delicata fosse la situazione politica italiana avendo all’interno del Paese il più organizzato partito comunista dell’intera area occidentale. Servizi segreti, carabinieri, istituzioni e presidenza della Repubblica, erano tutti preoccupati da una possibile avanzata, anche armata, del Pci. Al centro della scena Antonio Segni, un politico di alta statura morale e civile, volto a garantire la tenuta del sistema repubblicano.

Tenendo presente il suo ultimo libro, Il colpo di Stato del 1964. La madre di tutte le fake news, per citare Pietro Scoppola, la nostra ad oggi è ancora una “Repubblica dei partiti”?

Certamente no. La Repubblica dei partiti è finita nel 1992-1993. È finita da un lato con Mani pulite, ma è finita soprattutto con il passaggio al sistema maggioritario. Nel ’93 il cambiamento del sistema elettorale ha posto le basi di una Repubblica non più dei partiti ma delle istituzioni.

Suo padre, Antonio Segni, non fu solo presidente della Repubblica ma anche uno stimato ministro con De Gasperi e presidente del Consiglio. Una carriera nelle istituzioni.

Fu all’interno delle istituzioni e all’interno della Democrazia Cristiana. Storicamente non dobbiamo dimenticare che la Dc è il partito che ebbe il merito della nascita dello Stato democratico e della ricostruzione economica, sociale e morale del Paese dopo la guerra. Io in particolar modo dividerei la Prima Repubblica in due periodi: uno che può essere definito degasperiano che dura anche un po’ oltre la morte di De Gasperi (governi Scelba, Segni ecc…) e arriva intorno al 1960, l’altro la seconda parte è la fase del lungo declino che l’Italia ha iniziato e che ancora non è finito.

Il rapporto tra suo padre e De Gasperi?

Intanto non dobbiamo dimenticare che appartenevano allo stesso ristretto gruppo di fondatori della Democrazia Cristiana. Persone che avevano molte caratteristiche comuni: un’ispirazione cristiana profonda e una totale discontinuità con il periodo fascista. Nessuno di loro era stato fascista o simpatizzante del ventennio. Mio padre di De Gasperi fu ministro dell’Agricoltura di cui l’opera principale fu la riforma agraria sulla quale ebbe anche divergenze spesso profonde anche con lo statista trentino. È una storia complessa e travagliata, di due statisti che hanno avuto sempre un rapporto solidissimo di stima reciproca.

Entrambi provenivano dal gruppo del PPI di don Luigi Sturzo.

Mio padre era un grande estimatore di Sturzo e fu anche tra i militanti del PPI negli anni ’20. Fu anche candidato alle elezioni politiche del ’24 ma non passò, fu il primo dei non eletti in Sardegna. Tra l’altro finita la guerra ebbe modo di frequentare intensamente Sturzo quando tornò dall’esilio.

Come si arrivò alla designazione di suo padre come presidente della Repubblica?

Fu molto semplice. La Dc si mostrò quasi sempre compatta sul suo nome. Moro era segretario del partito, fu uno degli artefici della sua elezione. Fu eletto al nono scrutinio ma fu dall’inizio alla fine il candidato del partito contrapposto a Saragat candidato delle sinistre.

Cosa successe realmente nel 1964 con la crisi del I° governo Moro?

Nell’ultima parte del mio libro, ci sono alcune lettere di mio padre scritte soprattutto a Moro e Rumor (segretario della Dc) e ad altri, in cui appare chiarissimo qual è il motivo delle preoccupazioni, delle ansietà che lo turbano come presidente della Repubblica. Prima di tutto la crisi economica che precedeva di molto la crisi di governo. Tanto è vero che era stata preceduta da due eventi clamorosi: l’arrivo a Roma del vicepresidente della Commissione Europea e la lettera di Colombo, ministro del Tesoro, in cui denuncia disastrose le misure economiche del governo.
L’altra preoccupazione era di carattere costituzionale. Lo ripete varie volte nelle lettere a Moro, “io da presidente della Repubblica non posso permettere che l’Italia cancelli il sistema economico basato sulla libera impresa di mercato e sulla proprietà privata, determinato e scelto dalla Costituzione e metta in pericolo la partecipazione dell’Italia tra i paesi europei”.

E Guido Carli, governatore della Banca d’Italia come reagì?

Carli era schierato con ancora più forza a fianco di mio padre.

E la figura del generale De Lorenzo come la possiamo interpretare?

Nella crisi precedente, un anno prima, in cui si era formato il I° governo Moro, mio padre aveva instaurato l’abitudine di convocare ufficialmente al Quirinale durante la crisi anche personalità esterne. Convocò in occasione della prima crisi, Gaetano Martino sulla politica estera, Guido Carli governatore della Banca d’Italia e Giovanni De Lorenzo come esperto di ordine pubblico. Nessuno disse niente. In realtà la presenza di convocare personaggi esterni era già avvenuta la volta precedente, non era nemmeno una novità. Dopodiché dobbiamo dire che mio padre aveva una grande fiducia personale nei confronti di De Lorenzo e nei Carabinieri.

Come erano a livello politico e istituzionale i rapporti tra Antonio Segni, capo dello Stato, Moro presidente del Consiglio e Rumor segretario del partito?

Rapporti di grande cordialità. Con Aldo Moro c’erano però differenza politiche molto profonde. E la crisi del ’64 dimostra come le posizioni sono diversissime. Aldo Moro vuole il mantenimento della formula del centro-sinistra, mio padre invece vuole che la formula almeno in quella fase vada cambiata. Nella crisi vincono Moro e Nenni con la conferma del centro-sinistra. Poi la crisi obbliga il governo a cancellare – per fortuna – quelle misure che Segni e Carli non volevano. Vengono più cancellate per la forza delle cose che per la spinta politica.

L’ultimo colloquio tra suo padre e Moro prima della malattia?

È un colloquio dopo la crisi, molto emozionante. Alla fine mio padre gli dice: “Credo che tu non abbia a lamentarti nulla di te”. E Moro gli risponde: “Sì, è vero, ma io volevo essere certo del tuo appoggio”. E Antonio Segni: “Io te lo confermo e garantisco ma nei limiti della Costituzione”.

L’aneddoto riportato giornalisticamente da Jannuzzi della famosa litigata al Quirinale con Saragat e Moro? Cosa può dirci a riguardo?

Ritengo che sia una delle tante invenzioni, bugie, balle inventate da Jannuzzi. E ne sono sicuro per un piccolo motivo pratico. Io conosco il Quirinale, mio padre ci ha vissuto due anni, nello studio in cui si svolse l’incontro e il Salone dei Corazzieri ci sono quattro, cinque stanze con porte massicce. Dopodiché la smentita di Saragat è più precisa che mai: “Vergognose speculazioni”.

Taviani era ministro dell’Interno con Moro.

Tra Taviani e mio padre c’era una lunga amicizia, ma c’era da tempo una forte divergenza di opinioni politiche. Taviani era già fortemente attento all’apertura verso i comunisti e riteneva che fosse scomparso il pericolo comunista dopo la sconfitta di Secchia al congresso precedente.

L’incontro tra suo padre e De Gaulle?

De Gaulle era un personaggio che non poteva non incutere un senso di straordinaria autorevolezza. Ricordo una frase di Kissinger che disse che quando arrivarono all’Eliseo sembrava che tutto il palazzo ruotasse intorno a lui. Mio padre invece ricordo che mi disse: “Sembra più un vescovo che un generale”. Sembrava trasparire quasi un senso di superiorità religiosa.

La Sardegna ha dato i natali a figure politiche importantissime. Quali erano i rapporti tra queste famiglie?

Erano tutte famiglie sassaresi che si conoscevano da secoli. Con Cossiga mio padre ebbe quasi un rapporto di affetto paterno, era quasi un membro della nostra famiglia. Parliamo ovviamente di due generazioni diverse. Erano tutte famiglie nate e residenti in poche centinaia di metri di distanza, tutte appartenenti alla stessa parrocchia. La parrocchia di San Giuseppe ebbe due presidenti della Repubblica e il segretario del Partito Comunista.

Mario Berlinguer, padre di Enrico, fece anche una piccola apertura per votare suo padre presidente della Repubblica.

Mario fu quasi coetaneo e deputato socialista, e sì, durante le elezioni presidenziali, nonostante la candidatura di Saragat per le sinistre fece apertamente campagna per Antonio Segni.

Qual era il rapporto tra suo padre e la vostra terra di origine?

Io non dimenticherò mai una cosa che scrisse Montanelli. Il rapporto tra Antonio Segni con la Sardegna è un rapporto di amore carnale. Fu un rapporto di affetto profondissimo.

 


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