Con la formazione del Quad, la Cina inizia a sentirsi sotto pressione nell’area dell’Indo-Pacifico. Per questo sta iniziando ad aumentare le proprie attività in Africa, specialmente nell’Est. Non solo cash, ma anche tecnologia e cooperazione militare. L’analisi di Vas Shenoy
La Cina sta rafforzando i rapporti di sicurezza con l’Africa per perseguire il proprio obiettivo, quello di avere un punto d’appoggio sicuro nel continente.
Lo scopo alla base di questi impegni resta principalmente quello di proteggere gli interessi economici nella regione. Ma adesso Pechino punta anche a ottenere una sfera di influenza strategica per ricoprire un ruolo ancora più ampio nel continente. Allo stesso tempo, incrementando l’influenza politica ed economica sul continente, mira a galvanizzare il sostegno dei Paesi nei forum multilaterali in cui cerca di raggiungere posizioni più importanti.
Gli impegni militari della Cina in Africa hanno ricevuto un’enorme spinta in avanti dopo l’emanazione da parte del presidente Xi Jinping di una serie di nuove misure al vertice del Forum di cooperazione Cina-Africa del 2018. Tra queste, l’istituzione del China-Africa Peace and Security Forum, che prevede la costruzione di un piano di peace-keeping per l’Africa, l’espansione dell’addestramento del personale militare e il rafforzamento in generale degli impegni di difesa con i Paesi africani. Inoltre, la Cina ha iniziato a contribuire economicamente sovvenzionando un’operazione di assistenza militare dal valore di 100 milioni di dollari all’African Standby Force e all’African Capacity for Immediate Response to Crisis per una durata di cinque anni.
Recentemente, Pechino ha intensificato la sua cooperazione con l’Unione Africana, formata da 55 Stati membri del continente. Con un approccio dalla duplice valenza alle questioni di sicurezza africana, la Cina non sta soltanto difendendo i propri interessi economici, ma vuole anche mostrarsi come un partner credibile dell’Unione per la pace e per tanti altri programmi di sostegno militare. Pechino è da sempre uno dei più grandi contributori finanziari e militari dell’organizzazione e del suo sistema di peace-keeping.
Per raggiungere questo obiettivo, ha creato il fondo China-Africa Peace and Security dedicato al rafforzamento della cooperazione per la pace, la sicurezza, il peace-keeping e l’ordine pubblico, offrendo programmi di assistenza alla sicurezza in tutto il continente sotto l’egida dell’Unione Africana. Inoltre, sta convogliando fondi dallo UN Peace and Development Trust Fund (circa 200 milioni di budget) a iniziative per la pace e lo sviluppo in Africa in sintonia con i suoi investimenti.
Nel 2018 ha fornito 25 milioni di dollari per attrezzature militari alla base logistica dell’Unione Africana a Younde, in Camerun, 20 milioni di dollari per l’assistenza militare alla Multinational Joint Task Force e per la missione dell’Unione Africana in Somalia. L’anno successivo sono stati forniti 45 milioni di dollari alla Joint Force G5-Sahel ed è stato già annunciato che verrà fornita anche un’assistenza militare annua per un valore di 20 milioni di dollari all’Unione Africana al fine di migliorare la sua capacità di ripresa durante i periodi di crisi.
Oltre a tutto questo, la Cina punta al coinvolgimento bilaterale dei Paesi africani attraverso esercitazioni congiunte, l’addestramento militare, la costruzione di infrastrutture militari e multilateralmente attraverso il China-African Forum sulle questioni di sicurezza.
I programmi di addestramento militare e gli scambi sono diventati ormai una parte fondamentale di queste relazioni e si svolgono regolarmente con le controparti africane. Per esempio, nel 2019, giovani ufficiali militari provenienti da 45 diversi Paesi africani, hanno visitato l’industria della difesa cinese. Il tour, durato una settimana, ha portato gli ufficiali alle accademie militari e alle unità dell’Esercito popolare di liberazione intorno a Pechino.
Ogni anno, circa 2.000 cadetti africani frequentano le accademie militari cinesi e sono esposti al modello cinese sulla relazione “partito-esercito”; per la Cina questo è un altro metodo per esportare il proprio concetto di capitalismo senza democrazia, della quale vanno fieri. Circa 300 ufficiali stranieri vengono ammessi ogni anno in università come la National Defense University e la National University of Defense Technology, dove gli ufficiali africani costituiscono poco meno del 60% dell’ingresso straniero. Questi addestramenti militari, i corsi a breve termine e i workshop degli ufficiali militari africani, aiutano la Cina a coltivare legami con i leader della sicurezza africana che probabilmente ricopriranno ruoli di leader nazionali attuali e futuri.
Questi investimenti hanno ben ripagato il governo cinese in passato. L’ex presidente congolese Joseph Kabila, per esempio, ha ricevuto una formazione dalla National Defense University dell’Esercito popolare di liberazione prima di prendere potere nel 2001.
Il Congo è un Paese estremamente importante per la Cina in quanto detiene giacenze di minerali rari. Queste attività creano reti informali tra cadetti e ufficiali militari cinesi e africani che aiutano ulteriormente la Cina a cercare sostegno su questioni molto delicate.
La Cina è anche ampiamente coinvolta nelle missioni di peace-keeping delle Nazioni Unite in Africa, dispiegando i propri operatori di pace in cinque delle sette missioni delle Nazioni Unite. Il coinvolgimento della Cina in queste operazioni si è ampliato sia quantitativamente che qualitativamente. La partecipazione è cresciuta con un maggior numero di soldati impegnati e con l’aumento della presenza in nuovi Paesi. Dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina è diventata il maggior contributore di truppe e il secondo finanziatore delle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, favorendo gli interessi economici cinesi.
Gli sforzi cinesi per migliorare la capacità di intervento militare dell’Unione Africana e del peace-keeping, attraverso l’Esercito popolare di liberazione, includono l’assistenza per i militari, la polizia e attività di contrasto al terrorismo che potrebbero passare da un approccio di sviluppo non combattente alla costruzione della pace dopo la guerra civile.
In questo contesto, la Cina si sta concentrando sui Paesi della regione del Sahel, del Golfo di Aden, del Golfo di Guinea e del Corno d’Africa. Le attuali attività di pace e sicurezza della Cina in Africa, quindi, sono un allontanamento dalla sua politica di non interferenza, a una di costruzione della pace post-conflitto. Ciò aprirebbe la strada al tentativo cinese di acquisire progetti finalizzati alla ricostruzione socio-economica, in cui la vasta esperienza militare della Cina svolgerà un ruolo di primo piano.
Con la formazione del Quad, la Cina inizia a sentirsi sotto pressione nell’area dell’Indo-Pacifico, sta iniziando perciò ad aumentare le proprie attività in Africa, specialmente nell’Est con un occhio di riguardo per l’Oceano Indiano, dove, tranne una base a Djibouti, non ha altri appoggi. Lo sviluppo dell’influenza cinese in Africa e l’aumento delle attività turche nelle stesse zone (che presentano anche attività criminali legate a Hezbollah-Iran) accresce il potere dell’alleanza Cina-Pakistan-Turchia-Iran-Qatar che dopo la caduta di Kabul per mano dei talebani ha ottenuto la sua prima vittoria facendo nascere un brutto presagio per il mondo occidentale.