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Senza il nucleare i conti dell’idrogeno non tornano. Tabarelli spiega perché

Senza nucleare non ce la possiamo fare a ridurre le emissioni di CO2 nei prossimi anni, figuriamoci azzerarle. Per noi italiani, usciti nel lontano 1987 dal nucleare dopo l’incidente di Chernobyl, vale notare che la Germania ci ha messo molto più tempo prima di uscire da questa tecnologia, mentre la Francia, nella migliore delle ipotesi, comincerà a ridurre la sua produzione nucleare verso il 50% del totale ben oltre il 2035. L’analisi uscita sul numero di luglio della rivista Formiche a cura di Davide Tabarelli

Senza nucleare non ce la possiamo fare a ridurre le emissioni di CO2 nei prossimi anni, figuriamoci azzerarle. Per questo la finanza, e la collegata regolazione europea sulla sostenibilità degli investimenti, la tassonomia, deve considerare come sostenibili gli investimenti nel nucleare. Si tratta di una decisione difficile per una Commissione europea che s’è cacciata in un’intricata faccenda da sbrogliare.

L’Europa si può permettere il lusso di fare la prima della classe, rispetto a Usa e Cina, prima di tutto perché la sua domanda di energia non cresce, anzi, cala, un po’ per effetto di un’encomiabile maggiore efficienza, un po’ per un più serio problema di bassa crescita, acuitosi con la pandemia, che vede alcuni Paesi, Italia in prima fila, particolarmente colpiti. Con consumi fiacchi è molto più facile parlare di transizione energetica.

È d’obbligo, ogni volta che si citano le ambizioni europee, ricordare che le sue emissioni di CO2 contano per il 9% di quelle totali e che quanto ha ridotto negli ultimi trent’anni, circa un miliardo di tonnellate, è stato ampiamente compensato da un aumento di 12 miliardi nelle altre parti del mondo. Il voler dare l’esempio per rafforzare la propria leadership culturale ha dei costi e non è vero che avrà solamente un effetto benefico.

La certezza è che la competitività e la sicurezza del nostro sistema energetico sono compromesse, in particolare se mai si dovesse decidere di rinunciare al nucleare. Il nucleare in Europa conta per un quarto dell’intera produzione elettrica, ma in Francia, il più grande produttore di elettricità, arriva al 70%, con i suoi oltre cinquanta impianti. Importanti produzioni si hanno in Svezia, Gran Bretagna, Spagna, Svizzera, nell’Europa dell’est e in Germania, Paese importante per dimensione dei consumi elettrici e per rivoluzione verde in corso.

Nel 2019, prima della pandemia, la produzione di nucleare nell’Ue è stata di 822 miliardi di chilowattora, sette volte quella da fotovoltaico e il doppio di quella eolica. È una produzione senza CO2 che se fosse stata prodotta con il gas, avrebbe comportato maggiori emissioni per 250 milioni di tonnellate, il 7% in più dei 3,3 miliardi di tonnellate emesse. Tuttavia non è tanto per le maggiori emissioni che preoccupa l’abbandono del nucleare, quanto per i suoi effetti sulla stabilità della rete europea che deve sopportare un crescente aumento del peso, ancora limitato al 17%, delle fonti intermittenti, il sole e il vento.

Impossibile che questa quota possa salire al 30% senza grandi centrali nucleari o a carbone. A metà 2021 i prezzi dell’elettricità sui mercati europei stanno toccando massimi non visti da quattro anni sulla spinta di un trend rialzista che ha origine soprattutto nei problemi che ci sono sul nucleare, a partire dalle manutenzioni in Francia. Qui i problemi si vanno moltiplicando, da una parte per il semplice fatto che le centrali stanno invecchiando, dall’altra per una normativa sulla sicurezza che si va irrigidendo, sulla spinta dell’ambientalismo più aggressivo.

Poi comincia a farsi sentire l’approssimarsi della chiusura delle 17 centrali nucleari della Germania, prevista per fine 2022, come da impegni presi dalla cancelliera Merkel dopo l’incidente di Fukushima del 2011, riprendendo una promessa, non mantenuta, di Schroeder del 2002. Per noi italiani, usciti nel lontano 1987 dal nucleare dopo l’incidente di Chernobyl, vale notare che la Germania ci ha messo molto più tempo prima di uscire da questa tecnologia, mentre la Francia, nella migliore delle ipotesi, comincerà a ridurre la sua produzione nucleare verso il 50% del totale ben oltre il 2035.

Meno male, perché da quando noi italiani siamo usciti dal nucleare, le nostre importazioni sono le più alte in Europa e riguardano potenza che arriva proprio dalle centrali nucleari francesi e senza le quali il nostro sistema elettrico avrebbe problemi ben più seri di quello della transizione ecologica.


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