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La Polonia risponde alle strigliate Ue (ma alla fine trova sempre Bruxelles)

L’interminabile disputa tra la Polonia di Mateusz Morawiecki e l’Unione europea non fa nemmeno più notizia. Ma a Varsavia il governo inizia a traballare. Ecco perché

Per quanto il governo di Varsavia possa escogitare nuove strategie al fine di ridimensionare le bacchettate dell’esecutivo comunitario, “alla fine della strada troverà sempre Bruxelles”. È così che il Financial Times sintetizza l’interminabile disputa tra la Polonia di Mateusz Morawiecki e l’Unione europea. Ma non è una novità. La notizia non fa più scalpore. Anzi, il tutto è divenuto un ritornello, un esercizio mnemonico, una storia infinita.

Il 7 settembre la tensione tra le due parti ha raggiunto il culmine, quando la Commissione Europea ha esplicato le proprie decisioni tramite la richiesta, indirizzata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di applicare penali finanziarie alla Polonia per il mancato adempimento alla decisione della Corte del 14 luglio scorso, riguardo le misure provvisorie da applicare alla Camera disciplinare della Corte Suprema. La seconda richiesta della Commissione si aggancia alla procedura di infrazione contro Varsavia per l’esplicito rifiuto di attuare le disposizioni della Corte del 15 luglio sul sistema disciplinare dei giudici.

Le riparazioni comunicate dal governo polacco, nella lettera datata il 16 agosto, sono state bollate come insufficienti e poco veritiere, dato che la Camera disciplinare continua a esercitare le proprie funzioni, nonostante il PiS avesse annunciato l’abolizione dell’organo in questione, infischiandosene della sentenza del 15 luglio.

In questo magma di accuse, tentennamenti e sussulti patriottici, si inseriscono le dichiarazioni di Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, sul ralenti che ha appesantito l’iter di approvazione del Recovery Fund polacco, e le lettere inviate dalla Commissione ad alcuni Voivodati sul potenziale blocco di fondi comunitari in relazione alle dichiarazioni sull’“ideologia Lgbt”.

Ebbene, il clima, l’inquietudine che disorienta i protagonisti coinvolti e la frusta europea che incombe minacciosa sui grattacieli di Varsavia, spingono, ancora una volta, la Polonia sulla linea di difesa.

Piotr Müller, il fascinoso portavoce del governo, rinfaccia alle istituzioni europee l’aut aut e il tempo residuale propinato alla Polonia (meno di un mese dalla lettera del commissario alla Giustizia Didier Reynders del 20 luglio alla scadenza indicata per il 16 agosto) per mettere in atto misure che, invece, richiederebbero diversi mesi. Müller ha comunque ribadito l’intenzione dell’esecutivo di procedere alla predisposizione di una proposta di modifica alla legislazione sulla Camera disciplinare della Corte Suprema e sul sistema disciplinare dei giudici, da presentare al Sejm.

A sbilanciare i modi pacati del portavoce ci pensa Zbigniew Ziobro, irriducibile antieuropeista, il guardasigilli incapace di conferire al Vecchio continente una dimensione politica, solito ad additare l’Europa come il grembo di diktat e vincoli esterni. Infatti, Ziobro grida a un’aggressione ai danni della Polonia, che sarebbe “oggetto di una guerra ibrida sul piano economico”. Il ministro ripete le sue argomentazioni per cui l’Unione europea non avrebbe il diritto di interferire con l’organizzazione del sistema giudiziario negli Stati membri, alludendo a decisioni prese in passato dalle Supreme Corti di Germania e Romania.

D’altro canto, le formazioni di opposizione hanno colto l’occasione per contrastare l’indirizzo politico del governo, accusandolo di aver condotto Varsavia “nell’angolino dell’Europa”, dove ormai “a nessuno interessa più la voce polacca”, come affermato da Robert Biedron, europarlamentare di Wiosna. Anche Katarzyna Lubnauer, deputata di Koalicja Obywatelska, si scaglia contro l’esecutivo, affermando: “I nostri governanti costringono i cittadini a sborsare di tasca propria per rimediare agli errori del PiS, dopo aver rovinato l’immagine della Polonia”. Infine, Szymon Hołownia, leader di Polska 2050, si unisce al coro dei dissidenti, esordendo dinanzi agli organi di stampa, con un sentenzioso “Avete sprecato miliardi di zloty a causa dei ‘capricci della Destra Unita’, come dimostrerebbero il ritardo nell’approvazione del Recovery Fund, le conseguenze delle dichiarazioni anti Lgbt, la questione della miniera di Turow e da ultimo la richiesta della Commissione alla Corte di Giustizia. Un gesto imperdonabile!”.

Inoltre, nei giorni scorsi, i media polacchi hanno messo in risalto le lettere inviate dalla Commissione europea a cinque Voivodati, evidenziando la possibile sospensione dei pagamenti del programma React-Eu, per un totale di oltre 126 milioni di euro (destinati in particolare all’assistenza sanitaria, ai sussidi ospedalieri e al sostegno delle piccole e medie imprese a seguito della pandemia) in relazione alla loro adesione ad alcune iniziative contro i diritti delle persone Lgbt.

Trattasi delle regioni Malopolska, Lubelskie e Swietokrzyskie, che avevano firmato una dichiarazione sull’opposizione all’introduzione dell’ideologia Lgbti nelle comunità del governo locale, e dei voivodati di Lodzkie e Podkarpacie, firmatari invece della cosiddetta “Carta del governo locale” sui diritti delle famiglie redatta dall’associazione ultraconservatrice “Ordo Iuris”. Stando ai media sarebbe a rischio anche il pagamento dei programmi operativi regionali per gli anni 2021-27, per un totale di 10,47 miliardi di euro.

Quindi, il guanto di ferro sfoderato dalla Commissione sulla questione dello stato di diritto (che Varsavia ha sperato fino all’ultimo di riuscire ad arginare con vari equilibrismi) rischia di far implodere i legami e le contraddizioni interne al partito di governo. Persino il premier Morawiecki, da sempre impegnato in un delicato gioco di funambolismo tra l’esigenza di rassicurare Ziobro, alleato e nemico, e la necessità di trovare dei compromessi con Bruxelles. Per non parlare dell’addio di Jarosław Gowin al governo. Un gesto che ha spostato il baricentro verso destra, ostacolando la collaudata strategia del premier di condurre parallelamente due tavoli e due partite.

L’opposizione scalpita, Bruxelles tuona, il governo traballa e qualcuno, prima o poi, perderà l’equilibrio. Comunque vada, se le cose dovessero protrarsi alla lunga, l’unico finale che si prospetta è una caduta.

Un vuoto da occupare. I contendenti in campo non possono consentire che il proprio spazio divenga terra di conquista e di nessuno.


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