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Duma di fuoco. Da Putin in giù, chi teme il voto a Mosca

Si avvicina il voto per la Duma del 17-19 settembre e dalle parti del Cremlino c’è un po’ di nervosismo. Sulla carta sono tante le liste in corsa, la realtà racconta un’altra storia. Fra liste di proscrizione e sanzioni, la morsa sull’opposizione si fa sentire. L’analisi di Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca)

45-45, 42-40, o 50-42? No, non si tratta di un ambo su un’immaginaria ruota di Mosca, ma delle cifre che circolano in questa campagna elettorale russa, dove il primo numero è il dato dell’affluenza prevista, e il secondo la percentuale che dovrebbe ottenere Russia Unita, il partito di Vladimir Putin ininterrottamente maggioranza ormai da vent’anni.

L’appuntamento elettorale del 17-19 settembre per il rinnovo della Duma a prima vista sembrerebbe caratterizzato, almeno a Mosca, da un certo pluralismo: volantini di varie liste distribuiti sia casa per casa che davanti alle stazioni della metropolitana, manifesti con nuovi partiti presentatisi alle urne, dibattiti in tv.

Ma, come spesso accade, la realtà è ben più complessa: le elezioni di quest’anno vedono sì una maggiore offerta sulla scheda, ma si tratta in non pochi casi di liste costruite dall’Amministrazione presidenziale con due compiti essenziali, non banali e fondamentali per la tenuta del sistema di potere putiniano.

Il primo compito è di dare la possibilità di una scelta forse illusoria di poter avere varie opzioni, il secondo è di disperdere il voto di protesta su varie candidature, in modo da poter ottenere per i candidati di Russia Unita nei collegi uninominali la maggioranza relativa, e essere quindi eletti.

A favorire questa scelta tattica è la composizione della Duma, i cui 450 deputati sono eletti per metà all’uninominale e per metà su lista federale al proporzionale. La presenza di candidati forti, espressione delle variegate opposizioni al Cremlino, nei collegi uninominali viene affrontata dai polit-technology (tecnologi della politica, una ormai duratura passione russa) vicini all’establishment con ogni mezzo possibile.

Per esempio, a San Pietroburgo, nel collegio dove si è candidato il popolare politico democratico, candidato con Jabloko (formazione liberale presente sulla scena politica sin dagli anni Novanta), Boris Vishnevsky, si sono presentati due avversari che hanno non solo cambiato nome e cognome per l’occasione, diventando omonimi del politico, ma anche le fattezze, in una commedia dell’assurdo inedita anche per la Russia.

A condannare queste modalità di competizione è stata persino la presidente del Comitato elettorale centrale, ente supervisore federale, Ella Pamfilova, senza però procedere alla rimozione dei candidati in questione, attualmente non prevista dai regolamenti in vigore.

In altri collegi, si agisce utilizzando vere e proprie “liste civetta”, che utilizzano simboli e programmi simili degli avversari più noti: è il caso dei partiti comunisti esistenti solo in occasione delle elezioni, i cui candidati son sempre presentati in collegi dove il Kprf, il Partito comunista della Federazione Russa, ha esponenti in grado di poter prevalere sui membri di Russia Unita, e anche delle due liste verdi, atte ad intercettare un nascente, seppur minoritario, sentimento ecologista presente nel Paese.

Tutto sotto controllo, quindi? Se fosse così, non si spiegherebbe il nervosismo dimostrato dalle autorità in questi mesi, quando si è proceduto a un giro di vite sensazionale nei confronti dei media non legati al Cremlino e all’establishment.

L’utilizzo della legge sugli “agenti stranieri”, modificata a fine 2020, è stata la clava utilizzata nei confronti di quelle testate e di quei giornalisti che fornivano un quadro diverso della situazione dalla linea ufficiale. La vaghezza della formulazione della definizione di “agenti stranieri” e l’assenza di una procedura che preveda il dibattimento in tribunale (ad oggi basta una denuncia al Ministero della Giustizia) ha permesso un impiego largo e spesso sopra le righe dello strumento per impedire ulteriori reportage e l’uscita di notizie considerate (non a torto) scandalose per l’élite russa.

I casi del popolare sito di notizie Meduza e del canale televisivo Dozhd sono i più evidenti, e dimostrano che basta un versamento dall’estero per essere inseriti in lista. E nulla vale far presente, come nel caso di Dozhd, che l’accusa di aver ricevuto denaro nell’ambito di un progetto europeo avrebbe dovuto essere estesa al canale Russia Today, anch’esso parte di quel progetto: nessuno denuncerebbe questa emittente statale. Iniziative per cambiare la legge sono state promosse da giornalisti e testate, e persino il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha riconosciuto che bisogna introdurre dei correttivi giuridici, ma dopo le elezioni.

La rinnovata Duma si troverà ad operare nel contesto inedito aperto dalle riforme inserite nella Costituzione russa nell’estate del 2020, e probabilmente ad acquisire un peso maggiore rispetto al passato, quando l’organismo è stato più volte descritto come una specie di “stampante impazzita”, da dove venivano pubblicate leggi e provvedimenti di vario genere.

Quale sarà poi il reale posto della Duma nell’assetto della transizione al potere aperta da Putin ormai un anno e mezzo fa è difficile dirlo, perché il processo continua a seguire un andamento discontinuo. Il rischio però che Russia Unita possa non ottenere la maggioranza di 2/3, necessaria per le modifiche costituzionali, evidentemente è una possibilità considerata dall’Amministrazione presidenziale, e in questi ultimi giorni la mobilitazione di ogni risorsa sarà il campo su cui si misureranno le autorità di Mosca.


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