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La neutralità carbonica non sarà un pranzo di gala. Il commento del prof. Zollino

Conseguire in Italia la neutralità carbonica con le tecnologie oggi in uso sarebbe estremamente impattante. Ce ne servono di nuove, di cui dobbiamo promuovere lo sviluppo e la crescita. Se non sarà un pranzo di gala, che almeno la neutralità carbonica assomigli a un decoroso banchetto, e soprattutto che a noi non tocchi solo di pagare il conto! Il commento di Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed economia dell’energia e Impianti nucleari a fissione e fusione presso l’Università di Padova, pubblicato sul numero di luglio della rivista Formiche

Il rapporto dell’Aie, “Net zero by 2050: a roadmap for the global energy sector” indica le radicali trasformazioni necessarie ad azzerare le emissioni nette di gas serra. Il rapporto presenta diversi scenari. Scenari, appunto, non previsioni, cioè insiemi coerenti di parametri e condizioni sotto i quali l’obiettivo sarebbe raggiungibile, a costi che dipendono dalle ipotesi e dalla disponibilità delle diverse fonti.

Solo lo scenario Net zero emission raggiunge tuttavia l’obiettivo, ma le implicazioni sono impressionanti. Risulta evidente che il principale pilastro è l’elettrificazione degli usi finali di energia, inclusa la produzione di idrogeno. Nel 2050 il 50% degli usi finali dovrebbe essere soddisfatto da energia elettrica (oggi è il 20%), sicché si dovrebbero generare 71mila TWh, tutti con tecnologie CO2-free: tutte quelle oggi note, nessuna esclusa, a riprova che la sfida della decarbonizzazione è incompatibile con pregiudizi tecnologici di qualsiasi sorta: il 35% sarebbe da fonte eolica, 33% fotovoltaica, 12% idroelettrica, 8,5% da altre rinnovabili (soprattutto bioenergie), 8,5% nucleare.

Per questo occorrerebbe aumentare di ben nove volte la potenza eolica e fotovoltaica installata e raddoppiare quella nucleare, rispetto al 2020. Cosa implichi la neutralità carbonica per ogni singolo Paese, con quali tecnologie e a quali costi essa possa essere conseguita, quanto determinante sia il raggiungimento della piena maturità di tecnologie oggi ancora in fase di sviluppo, quale l’impatto sul territorio eccetera, dipende dalle caratteristiche geo-fisiche dell’area geografica considerata. Insomma, non esistono ricette replicabili dappertutto.

A tal proposito la strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, pubblicata a gennaio di quest’anno, indica anch’essa una forte tendenza all’elettrificazione. Al 2050, il 55% degli usi finali (oggi poco più del 20%) dovrebbe essere alimentato da energia decarbonizzata, con un fabbisogno tra 600 e 700 TWh, contro i 320 pre-pandemia. Un livello così elevato deriva dai maggiori impieghi in tutti i settori, in modo particolare per la produzione di idrogeno (110-170 TWh) e per l’elettrificazione dei trasporti (105-115 TWh). Ma come si potrebbero produrre nel 2050 in Italia anche solo 600 TWh di energia elettrica CO2-free? Con quali tecnologie?

E, considerando la non programmabilità di fotovoltaico ed eolico, quale mix di rinnovabili variabili, rinnovabili modulabili (idroelettrico a bacino e impianti a biogas) e sistemi di accumulo sarebbe necessario per soddisfare la prevedibile domanda oraria, per tutto l’anno? Quali interventi di potenziamento sulle reti di trasmissione e distribuzione servirebbero? Quale l’impatto sul territorio e il conto economico di tutto questo, se dovessimo contare solo sulle tecnologie ora disponibili o se, invece, ne potessimo impiegare di ulteriori, con diverse caratteristiche, che oggi sono ancora in via di sviluppo?

Sono tutte questioni cruciali e richiedono ipotesi e analisi di scenario che consentano all’opinione pubblica e ai decisori a ogni livello di tener conto di tutte le implicazioni, anche di contorno. Per fortuna abbiamo in Italia eccellenti ricercatori, presso università ed enti di ricerca, in grado di farlo molto bene: per operare scelte razionali il loro aiuto sarà prezioso.

Per fornire un’indicazione della dimensione del problema, illustrerò sinteticamente alcune analisi condotte, presso il consorzio Rfx a Padova, da un piccolo gruppo di ricerca che da qualche anno lavora allo sviluppo di un codice (Comese) in grado di simulare scenari elettrici e individuare il mix ottimale per soddisfare ora per ora la domanda di potenza elettrica nelle sei zone in cui convenzionalmente Terna suddivide l’Italia.

Per mix ottimale si intende quello per il quale è minimo il costo del kWh “reso disponibile al momento della domanda”, ovvero il risultato che deriva dall’imputare a ciascun kWh “consumato” tutti i costi di generazione (anche quelli dell’energia che viene “tagliata” perché in surplus in molte ore dell’anno) dei sistemi di accumulo, degli impianti di back-up.

Il codice utilizza i profili reali registrati per gli impianti oggi in esercizio, oppure profili ricavati da modelli numerici, per esempio per il fotovoltaico con tracking o l’eolico offshore. Una recente applicazione del codice (“How fusion power can contribute to a fully decarbonized European power mix after 2050”; Fusion Engineering and Design 146, Part B, 2019) confronta due scenari elettrici italiani di lungo periodo, CO2-free, con domanda di 600 TWh: il primo solo con le tecnologie oggi note, con i rispettivi potenziali nazionali; il secondo include invece anche centrali a fusione (ma in alternativa si potrebbe trattare di più convenzionali Smr).

Nella tabella sono riassunti i risultati più significativi. Come si vede, nel secondo scenario la potenza fotovoltaica è tre volte inferiore e cinque volte inferiore l’energia prodotta in eccesso in primavera estate e inutilizzata. Si aggiunga che nel primo scenario si dovrebbe aumentare in modo significativo (di un fattore tra 4 e 8) la capacità di interconnessione tra le zone.

Infine, anche al netto dei costi dovuti alla maggiore capacità di interconnessione, l’energia elettrica nel secondo scenario costerebbe il 25% in meno se il Capex della centrale a fusione (o equivalente) fosse di 6mila €/kW e comunque meno fino a 11mila €/kW. Possiamo concludere che conseguire in Italia la neutralità carbonica con le tecnologie oggi in uso sarebbe estremamente impattante e di difficile gestione. Ce ne servono di nuove (qui abbiamo citato la fusione e gli Smr, ma molte altre potrebbero maturare nei prossimi anni), di cui dobbiamo promuovere lo sviluppo e la crescita delle relative filiere industriali nazionali. Se non sarà un pranzo di gala, che almeno la neutralità carbonica assomigli a un decoroso banchetto, e soprattutto che a noi non tocchi solo di pagare il conto!

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