Una rete di fondi, armi, agenti sul campo che opera non da mesi, ma da anni. Gli 007 Pakistani hanno ormai in mano le chiavi dell’Afghanistan talebano. E non sono disposti a cederle. L’analisi di Antonio Teti, responsabile del settore Sistemi informativi e Innovazione tecnologica dell’Università G. D’Annunzio di Chieti Pescara, esperto di Intelligence e Cyber Intelligence
Lunedì 23 agosto, secondo fonti anonime del Washington Post, il direttore della Cia, William Burns, avrebbe incontrato il leader talebano Abdul Ghani Baradar a Kabul. L’incontro sarebbe stato incentrato sulla possibilità di estendere oltre il 31 agosto il termine per le truppe Usa di lasciare l’Afghanistan, ma gli argomenti trattati potrebbero essere stati diversi. Uno questi, potrebbe essere stato quello dei rapporti attuali e futuri del nuovo governo di Kabul con il Pakistan.
Com’è noto, il governo di Islamabad, soprattutto per mezzo dell’Inter-Services Intelligence (ISI), la più importante e potente agenzia di intelligence del Pakistan, esercita da decenni una particolare influenza su tutto lo scacchiere mediorientale. Fonti attendibili, confermano che i legami “segreti” tra i talebani e l’ISI sarebbero molto più corposi di quanto si possa immaginare. Sembra inoltre che il servizio segreto pakistano, sin dalle prime ore della conquista delle aree del nord dell’Afghanistan da parte dei talebani, sia stato coinvolto finanche nel ruolo di “decisore” per la conduzione delle operazioni.
Durante le riunioni di pace svoltesi a Doha, nel Qatar, a febbraio del 2020, i funzionari dell’ISI avrebbero svolto un ruolo determinate in ogni fase delle trattative, assumendo decisioni che venivano poi accettate dai rappresentati talebani. Un esponente della rappresentanza talebana a Doha, che aveva presieduto alle riunioni, ha asserito “Un altro evento a cui ho assistito è quello dei componenti della rappresentanza talebana che si spiavano l’un l’altro per conto dell’ISI in cambio di alcune borse di studio e di carte d’identità pakistane. L’ISI ha assoldato le persone più insospettabili collocate lungo la nostra linea di frontiera come loro spie”.
Sembra, inoltre, che il giorno prima della firma dell’accordo di pace, Baradar abbia ricevuto una telefonata in cui gli si imponeva di chiedere ai funzionari del Qatar preposti all’organizzazione della cerimonia del trattato di pace di invitare all’evento due generali dell’ISI, rispettivamente il generale Faiz Hameed, attuale direttore generale del servizio segreto e il generale Hassan Azhar Hayat, in forza alla sede dell’ISI di Islamabad.
Il 29 febbraio 2020, gli Stati Uniti siglano l’accordo di pace con i talebani a Doha dopo mesi di negoziati, per porre fine ad un conflitto durato più di 18 anni. Per la parte talebana, l’accordo di pace doveva essere firmato da Sher Mohammad Abbas Stanikzai, figura di spicco tra i leader talebani e attuale capo del Taliban’s political office a Doha, ma qualcosa va storto e a firmare l’accordo è proprio Baradar, in funzione di presunte pressioni esercitate dall’ISI su Maulvi Amir Khan Mottaqui, considerato un uomo “…che ha una grande influenza sull’ISI, considerato uno degli riferimenti principali dell’ISI e difensore dell’ISI”.
Per ironia della sorte Mottaqui è il leader talebano che giovedì 19 agosto scorso avrebbe concluso un accordo in un incontro a Charikar, capitale della vicina provincia di Parwan, con una delegazione del Panjshir, ultimo baluardo della resistenza contro i talebani in Afghanistan, per cercare di trovare una soluzione pacifica al loro conflitto. A confermare l’incontro è stato Fahim Dashty, stretto collaboratore di Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, lo stimato capo della guerriglia dell’Alleanza del Nord assassinato nel 2001.
In buona sostanza, anche sull’accordo che dovrebbe sancire la conclusione del conflitto tra le milizie di Massoud e il nascente governo di Kabul spiccherebbe, ancora una volta, l’ombra dell’ISI. Vale la pena di ricordare che le organizzazioni terroristiche Lashkar-e Taiba e Lashkar-e Jhangvi, entrambe basate in Pakistan, avrebbero collaborato fattivamente con i talebani per la conquista di Kabul.
Anche se nel 2018 l’ex presidente afghano Ashraf Ghani aveva affermato che il “centro del terrorismo talebano è in Pakistan”, chiedendo alle autorità dei paesi limitrofi di “di mostrare qualche azione concreta per liberare il loro territorio dagli insorti”, nessun reale azione è stata messa in campo dai Governi occidentali per contrastare le attività condotte dai talebani operanti lungo la linea di confine con il Pakistan.
Baradar è di fatto il capo politico dei talebani, essendo stato nominato capo del loro ufficio politico a Doha nel gennaio 2019. È stato il volto pubblico dei talebani negli ultimi due anni, guidando il gruppo nei negoziati con gli Stati Uniti e nel successivo conflitto intra-afghano. Ha anche guidato le delegazioni diplomatiche degli studenti coranici nell’ultimo anno in diverse capitali, tra cui Mosca, Islamabad, Teheran e Pechino.
La sua storia nell’ultimo decennio può fornire una chiave di lettura esaustiva per la comprensione del suo rapporto con il Pakistan. Dopo la cacciata del regime talebano nel 2001, da parte delle forze di coalizione comandate dagli Stati Uniti, Baradar si rifugiò in Pakistan. In quel periodo pare abbia svolto un ruolo fondamentale per la riorganizzazione delle milizie talebane per tentare di condurre una guerriglia contro le forze della coalizione.
Nel 2007, Baradar è nominato vice del Mullah Omar, proprio quando la salute di quest’ultimo comincia a peggiorare. L’arresto di Baradar, avvenuto a Karachi nel 2010 da parte delle stesse autorità pakistane, sembra sia scaturito dalla negoziazione condotta dal mullah talebano con l’allora presidente afghano Hamid Karzai. Entrambi appartenenti all’etnia Pashtun della tribù Popalzai, stavano tentando di concludere un accordo, all’insaputa dei pakistani, per ristabilire un governo credibile a Kabul.
L’ISI sabotò l’accordo mediante l’arresto di Baradar, temendo, probabilmente, che il nuovo governo afghano avrebbe escluso ogni possibile ingerenza da parte di Islamabad sul futuro dell’Afghanistan. Le autorità pakistane lo tennero in custodia per otto anni, fino al 2018. Fu liberato per esplicita richiesta degli americani, che lo volevano coinvolgere ai negoziati di pace di Doha.
Definito dagli statunitensi come un “moderato e un utile facilitatore nei colloqui di pace” e “più aperto, più favorevole alla pace”, risultò il leader più gradito all’amministrazione Trump quando iniziò a colloquiare con i talebani per programmare il ritiro delle truppe. Persino il presidente Khalilzad ha esortato il Pakistan a rilasciarlo, una richiesta che Islamabad ha finalmente concesso nell’ottobre 2018. Persino Ghani, nel 2019, definì Baradar come l’uomo in grado di “svolgere un ruolo fondamentale nel processo di pace”.
Anche se il rapporto tra Baradar e Islamabad ha sollevato molte speculazioni, soprattutto in India e in Afghanistan, sembra che durante la sua permanenza nelle carceri pakistane, abbia subito un processo di “trasformazione” che ha influito notevolmente sul miglioramento dei rapporti con il governo pakistano.
Nelle prossime settimane il nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan dovrà assumere decisioni che influiranno in maniera determinante sul futuro del paese. Tra queste, il rapporto con il Pakistan. Baradar è ben consapevole dell’importanza dell’appoggio di Islamabad e la sua permanenza nelle prigioni pakistane, allontanandolo dal campo di battaglia, ha influito certamente sulla sua crescita sul piano diplomatico e strategico.
Non a caso egli è stato descritto come “più astuto e pericoloso” del Mullah Omar. Il 21 agosto sono circolate delle immagini che ritraevano, in un momento di preghiera, il capo dell’ISI, Faiz Hameed, con i maggiori leader talebani. Tra i personaggi immortalati nella foto, il Mullah Abdul Ghani Baradar e lo sceicco Abdul Hakim Sheikh, capo della squadra negoziale dei talebani. Immagini che confermano ulteriormente il livello ottimale dei rapporti tra Islamabad e il nascente governo di Kabul. Ad ulteriore conferma, il 22 agosto scorso, il Ministro degli Esteri pakistano, Shah Mehmood Qureshi, si è recato a Kabul per incontrare i maggiori leader talebani per facilitare i negoziati tra Kabul e i leader delle etnie hazara e tagiki.
Secondo le ultimissime news diffuse dai media internazionali, sarebbe certa la nomina di Baradar quale leader del nuovo Governo. Assumerà un ruolo di rilievo anche Sirajuddin Haqqani, eccellente comandante militare e fidatissimo collaboratore dell’ISI. Com’era stato già annunciato da tempo, oggi, Faiz Hameed , si è recato in visita a Kabul. È il primo leader di un paese straniero a recarsi in Afghanistan, una visita che conferma, questa volta ufficialmente, quale sarà il ruolo del Pakistan nel futuro governo a guida talebana.
Ciò che sembra indubitabile, per i prossimi anni, è il ruolo decisivo che assumerà il Pakistan nello scacchiere mediorientale, grazie soprattutto al suo più affidabile ed efficiente braccio operativo: l’ISI. Il servizio segreto pakistano ha collaborato per anni, e in diversi modi, con la CIA per anni, ma nel contempo hanno “giocato” una partita su più fronti, contribuendo, ad esempio, al sostegno dei talebani contro le forze militari occidentali della coalizione.
Non dobbiamo dimenticare che il primo ministro pakistano, Imran Khan, pochi giorni dopo la presa di potere dei talebani, aveva dichiarato che gli afghani avevano “rotto le catene della schiavitù”. Raoof Hasan, il suo special assistant, aveva scritto su Twitter che “il meccanismo che gli Stati Uniti avevano messo insieme per l’Afghanistan si è sbriciolato come il proverbiale castello di carte”.
Quando il presidente afghano Ghani fuggì dal paese, Hasan salutò quello che aveva definito “un passaggio di potere praticamente regolare” dal governo “corrotto” di Ghani al governo dei talebani. Per Islamabad la conquista del potere in Afghanistan da parte dei talebani, assume un valore ben più significativo del semplice cambiamento della geografica politica nello scacchiere mediorientale: è un duro colpo all’influenza dell’India, storico e acerrimo nemico del Pakistan.
Non è infatti un caso che il paese indiano, alleato dell’ex presidente Ghani, abbia frettolosamente chiuso i suoi consolati in Afghanistan mentre i talebani avanzavano. Nelle ultime settimane, secondo alcune fonti, Burns avrebbe effettuato una visita senza preavviso a Islamabad per incontrare i vertici dell’esercito pakistano e dell’ISI. Oggetto dell’incontro sarebbe stato l’aiuto del paese per le future operazioni statunitensi in Afghanistan. Secondo alcune fonti, durante i colloqui, i pakistani avrebbero imposto una serie di restrizioni in cambio dell’uso di una base nel Paese, tra le quali l’approvazione preventiva dei pakistani per ogni missione o obiettivo che la CIA o l’esercito intendesse condurre in territorio afghano.