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La fine di Tolo News, l’emblema della libertà dei media in Afghanistan

La popolarità di Tolo News è iniziata dopo l’arrivo degli americani in Afghanistan. In quel momento c’era una richiesta di informazione e intrattenimento, dopo anni di divieti di consumo di prodotti cinematografici, musicale e di varietà. Ma adesso gran parte della programmazione è sulla morale islamica e sono spariti dal palinsesto i riferimenti alla cultura pop e i volti femminili

Pestati, perseguitati, espulsi dal loro Paese. I giornalisti dell’emittente afgano Tolo News sono una delle prime vittime del regime talebano dopo la caduta di Kabul. Il canale tv era l’emblema della rinascita dell’industria mediatica in Afghanistan e ora è bersaglio della repressione estremista islamica.

Da anni erano diventate famose le trasmissioni di Tolo News di soap opere turche, il programma Afghan Star, con donne cantando e ballando la versione locale di “American Idol” e gli episodi di “Burka Avenger”, una eroina che con arti marziali combatte contro i cattivi che vogliono chiudere una scuola di bambine. Ma anche i programmi di approfondimento e i telegiornali. Un punto di riferimento per l’informazione plurale del Paese.

Dal 15 agosto, però, il totalitarismo trasformato lo schermo di Tolo News. Gran parte della programmazione è sulla morale islamica e sono spariti dal palinsesto i riferimenti alla cultura pop e i volti femminili.

La popolarità di Tolo News è iniziata dopo l’arrivo degli americani in Afghanistan. In quel momento c’era una richiesta di informazione e intrattenimento, dopo anni di divieti di consumo di prodotti cinematografici, musicale e di varietà. Nel 2003, è arrivata una sovvenzione di circa 220.000 dollari dal governo americano e Saad Mohseni, ex banchiere di investimenti di origine afgano-australiano, fondò una radio, Arman FM, per trasmettere musica pop indiana e afgana.

Mohseni fondò la compagnia Moby Group, che oggi trasmette in tutto l’Afghanistan, Asia e Medio Oriente. Circa il 60% della popolazione afgana segue i suoi programmi.

Il fondatore Mohseni ha confessato al New York Times di essere sorpreso che l’emittente è ancora in onda. La scelta non è casuale: i talebani vorrebbero guadagnare legittimità a livello internazionale presentandosi come un regime moderato, e non oscurare completamente i media sembra essere la loro strategia.

Purtroppo, la condizione è l’adeguamento della linea editoriale ai “valori islamici”. Secondo giornalisti e difensori dei diritti umani, ci sono segnali molto preoccupanti sulla repressione talebana contro i media.

Andrew North, ex giornalista della Bbc che ha addestrato i colleghi afgani, ha spiegato al Nyt che è difficile sottovalutare l’influenza di Tolo News: “È stata la prima. Ha sconvolto tutte le cose e gli altri l’hanno seguita”.

Tuttavia, anche i talebani si sono conquistati un potere mediatico. Hanno a disposizione circa 170 emittenti di radio nel Paese una decina di canali tv solo a Kabul. Trasmettono documentari e programmi di concorsi, e cercano di sfruttare le risorse dei social network.

Ma secondo Mohseni non riusciranno nell’addottrinamento sulle piattaforme digitali come TikTok e Twitter. In Afghanistan circa il 60% della popolazione ha meno di 25 anni, e la maggioranza frequenta scuole miste. Le ragazze non si coprono il volto e usano Snapchat. “I talebani sono furbi – ha dichiarato Mohseni al Nyt -. Nei villaggi più sperduti è vietato l’uso di cellulari e WhatsApp. Si controllano i telefoni […] Ma il Paese è cambiato. La popolazione è giovane e i talebani non potranno ripristinare il pensiero delle persone da un momento all’altro, dire che il mondo è piatto quando non lo è”.

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