Benché le risorse messe in campo per il Mezzogiorno siano cospicue, sia la loro dimensione sia la strategia di utilizzo lasciano dubbiosi sulla possibilità che il Pnrr sia in grado di risolvere anche solo alcuni dei nodi strutturali sottostanti. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo
Le stime dell’andamento dell’economia in Italia nell’incerto scorcio post-pandemico attuale riproducono il dualismo territoriale in modo inedito. Da un lato, infatti le previsioni di crescita del Pil del Mezzogiorno sembrano essere favorevoli, con più di due punti percentuali di crescita cumulata rispetto al Centro-Nord (15,3% contro il 13,2%) nei prossimi cinque anni.
Dall’altro lato, la maggiore profondità della crisi sofferta nelle regioni meridionali è più difficile da riassorbire, il Pnrr dovrebbe fare la differenza, secondo il Ministero per il Sud che sostiene che il Centro-Nord con la ripresa 2021-22 recupererà integralmente il Pil perso nel 2020. Secondo la Svimez, tuttavia, il Mezzogiorno a fine 2022 avrà ancora da recuperare circa 1,7 punti di PIL che si sommano a circa 10 punti persi nella precedente crisi 2008-13 e non ancora recuperati.
Benché le risorse messe in campo per il Mezzogiorno siano cospicue, sia la loro dimensione sia la strategia di utilizzo lasciano dubbiosi sulla possibilità che il Pnrr sia in grado di risolvere anche solo alcuni dei nodi strutturali sottostanti. Nel Sud vive ancora un terzo della popolazione del Paese, che produce solo un quarto del Pil italiano (22%). Questo sbilancio produce un deficit commerciale con ilresto del Paese non attenuato dalle esportazioni, ferme al 10% di quelle nazionali da più di un decennio.
Questi dati, insieme con la riduzione tendenziale degli investimenti e il peso crescente della disoccupazione e dell’economia informale forniscono chiari segnali di un fallimento strutturale del modello produttivo ancora prevalente nelle regioni meridionali. Questo fallimento e il crescente dualismo territoriale sono in gran parte spiegabili come conseguenze di una contraddizione storica tra la specializzazione produttiva della regione e la localizzazione di lungo termine dei fattori di produzione.
Questa contraddizione, che è stata intensamente studiata dalle più recenti analisi di economia internazionale, discende dal fatto che la specializzazione produttiva di paesi e regioni (teoria commerciale) e la mobilità e la localizzazione a lungo termine dei fattori produttivi (geografia economica) non sono indipendenti, ma si influenzano e determinano a vicenda.
Per il Mezzogiorno, questo significa che la composizione industriale della sua economia e la prevalenza di settori maturi a bassa tecnologia possono essere state ed essere una trappola che impedisce lo sviluppo di fattori di crescita essenziali quali la tecnologia e il capitale umano. Il ritardo di sviluppo che consegue dalla attuale specializzazione produttiva e, allo stesso tempo le potenzialità di crescita stanno quindi nella capacità di orientare gli investimenti pubblici e privati nella direzione dello sviluppo dei fattori produttivi (soprattutto il capitale umano) e della mobilità, delle infrastrutture di trasporto e, più in generale, della logistica.
L’intuizione dietro questa nuova prospettiva è semplice. In presenza di economie di scala interne come esterne all’impresa, vi è un incentivo a concentrare la produzione vicino al più grande mercato accessibile. Concentrando la localizzazione della produzione, le economie di scala possono essere realizzate, mentre posizionandosi vicino al più grande mercato, i costi di trasporto sono ridotti al minimo.
Questo effetto, (chiamato Home-Market in letteratura) fornisce una spiegazione del successo dell’industria del Nord rispetto a quella del Mezzogiorno, il cui “home market” è costituito dall’area più prospera dell’Europa (l’Home-Market primario) e, secondariamente dal proprio stesso mercato, mentre l’industria del Sud deve accontentarsi della prossimità all’area del centro nord tre volte più lontana, anche in termini di costi di transazione logistica (trasporto, distribuzione ecc.), dal mercato primario europeo.
La superiorità della logistica del Nord determina anche una condizione in cui i fattori sono più produttivi e maggiori sono le possibilità di qualificazione e guadagni del lavoro, poiché una frazione più piccola del consumo totale è gravata dai costi di trasporto e dagli handicap legati a difetti della logistica del movimento delle merci e dei fattori.
La nuova teoria del commercio internazionale si basa sui ritorni crescenti alla specializzazione in settori caratterizzati da alte economie di scala. La presenza di tali economie di scala nella produzione porta all’esistenza di un numero limitato di operatori mondiali nel mercato, con imprese dominanti anche grazie alla loro entrata precoce e al know how accumulato. Per avere successo in un tale ambiente, quindi, non basta invocare che le imprese siano fortunate, oltre che intraprendenti e innovative, ma è necessaria una politica commerciale strategica e proattiva che faciliti il vantaggio della prima mossa in industrie chiave ed emergenti.
Il vantaggio competitivo richiede l’esistenza di cinque elementi cruciali: dotazione di capitale umano, infrastrutture adeguate, condizioni di domanda, industrie correlate e di supporto e strategia, struttura e competitività delle imprese. Queste considerazioni non sono nuove, ma la loro novità consiste nel fatto che oggi esse appaiono essenziali per un rilancio programmato degli investimenti nel Mezzogiorno. Le infrastrutture e la logistica nei trasporti e nelle comunicazioni costituiscono oggi infatti la frontiera dell’intervento pubblico e lo sono a maggior ragione nel Mezzogiorno ove l’assenza di Home Market effect ha penalizzato la crescita e il modello di sviluppo fin dall’unità nazionale.
Nel contesto della globalizzazione e dell’analisi delle sue cause e degli impatti, questi investimenti, già importanti nello sviluppo economico delle nazioni (si pensi al ruolo dei battelli a vapore e delle ferrovie) stanno ritornando nel mainstream della politica economica, ma ora trasformati in un concetto molto più ampio di logistica, che è diventato un elemento sempre più importante nell’organizzazione e nella ristrutturazione globalizzante dell’economia. Dall’essere un fattore esterno, il trasporto è diventato parte integrante del sistema di produzione e distribuzione, ma allo stesso tempo esso è sempre più integrato in processi complessi, dove le general purpose technologies quali la digitalizzazione, e il capitale umano, anche sotto forma di conoscenze e nuove abilità hanno sempre più importanza.
Il piano di investimenti di cui parliamo ha bisogno naturalmente di risorse, ma le risorse finanziarie non sono l’esigenza maggiore, anche perché esse sono, per così dire, largamente determinate dal successo degli investimenti stessi. Piuttosto, è necessario ridisegnare gli interventi diretti e il sistema degli incentivi industriali in modo che essi siano più fortemente collegati con un modello di espansione produttiva proiettato verso nuovi mercati, orientato soprattutto allo sviluppo di un’area di Home Market estesa. Quest’area è certamente ipotizzabile nella Regione Mediterranea, in cui il Mezzogiorno può giocare un ruolo cruciale di leader sfruttando una combinazione storica di early entry e di opportunità di economie di scala.
In accordo con i risultati della maggior parte delle analisi degli accordi di libero scambio, tra cui il più importante di gran lunga è l’Unione europea, che concludono che la creazione commerciale ha dominato la deviazione commerciale, lo sviluppo della logistica e la riduzione dei costi di trasporto e dei servizi nel Mediterraneo possono rappresentare una opportunità cruciale per l’inserimento dell’economia del Mezzogiorno nell’intero processo della globalizzazione.
Come nel rapporto tra globalizzazione e trasporti internazionali, anche la relazione tra l’integrazione regionale e il trasporto regionale è duplice: i servizi di trasporto intra-regionali meno costosi e di qualità migliore conducono a un’ulteriore integrazione regionale, e allo stesso tempo l’integrazione regionale incide anche sui mercati dei servizi di trasporto. L’importanza crescente della geografia e delle economie di scala non deve però essere fraintesa, perché essa si svolge secondo modelli diversi che per il passato, non più basati sulle economie di agglomerazione delle concentrazioni urbane e industriali.
L’innovazione tecnologica e lo sviluppo della logistica si sono sommate alle nuove forme di delocalizzazione, rese possibili dalla innovazione digitale e dalla crescente smaterializzazione dei processi produttivi, rendendo gli effetti di Home Market, allo stesso tempo più diffusi su territori più ampi e meno intensivi. I vantaggi legati ad aree vicinali estese, anche in virtù di migliori comunicazioni e più ampia diversificazione di beni e servizi si sono accentuati, e con esse si è accentuata la differenza tra i vantaggi competitivi tra chi ha accesso a tali aree per ragioni geografiche, di dotazioni di infrastrutture e di capacità logistiche.
L’occasione storica per il Mezzogiorno nella regione mediterranea è quindi presente in questo momento per ragioni geografiche, culturali, finanziarie e produttive, ma potrebbe presto scomparire. Un programma di investimenti lungimirante, basato su una prospettiva concreta di integrazione territoriale e su scelte di lungo termine di programmi e progetti adeguati è la sola possibilità per consolidare le opportunità di leadership in un modello di lungo termine di sviluppo endogeno e di prosperità per l’intera regione.