Mentre si chiudono le urne per il rinnovo della Duma si possono già tracciare i primi bilanci. Russia Unita manterrà la maggioranza e le opposizioni rimarranno all’angolo. Ma è sul futuro di Putin e la sua legacy che si addensa la nebbia. Fra ripartenza economica e crisi delle materie prime, gli scenari di Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca)
Esiste il futuro dopo Putin?
Ultima giornata alle urne per il rinnovo della Duma federale e di alcuni organismi locali in Russia, in una tre giorni dove non sono mancate le polemiche dovute alle infrazioni alle procedure di voto. Se il risultato appare alquanto scontato, la conservazione della maggioranza (sarà da vedere se assoluta o meno) di Russia Unita, queste elezioni si inseriscono nel complesso processo di transizione avviato nello scorso 2020, e di cui abbiamo scritto a più riprese su Formiche.net.
Quel che però spesso manca, nella discussione generale riguardo alla politica russa, è una riflessione su cosa accadrà dopo Putin. Questo non vuol dire che il presidente russo lascerà il Cremlino domani o nel 2036, come spesso si scrive (più la seconda che la prima opzione, in verità), ma capire che prospettive future ci sono per Mosca.
Una riflessione non scontata da fare in una congiuntura particolare per l’economia delle materie prime, dove la Russia ha una forte presenza, quando il prezzo del gas è schizzato alle stelle, dovuto a una serie di fattori incrociatisi nelle ultime settimane. Con una richiesta così forte, e l’aumento del costo (che ricadrà, come in Italia, sui consumatori), si potrebbe prospettare una nuova stagione di copiose entrate per le casse di Gazprom e degli operatori energetici russi, in vista anche dell’apertura del North Stream 2, ormai completato.
Si potrebbe quindi riproporre una riedizione del periodo migliore della giovane economia russa, quello tra il 2002 e il 2012, quando l’impennata dei prezzi del petrolio permise la creazione di una debole ma importante classe media nel paese, una certa stabilità interna e il consolidamento del sistema di potere putiniano.
Una prospettiva che fa gola all’establishment, perché permetterebbe di avere un forte argomento di autolegittimazione, come lo era stato il mercato petrolifero, e di poter assicurarsi una certa neutralità della popolazione con misure estemporanee di sostegno al reddito (si vedano gli assegni dati alle famiglie, ai pensionati, ai militari e agli appartenenti alle forze di polizia ad agosto). In pratica, di potersi assicurare qualche altro anno di durata del sistema senza ricorrere a riforme o a cambiamenti radicali nell’assetto di potere.
Il mercato però non è qualcosa di eterno, e i prezzi possono sempre scendere, e a una fase di aumento dei prezzi seguirà, per forza di cose, una discesa, che potrebbe essere ancor più repentina. Ed è lì che si misurerà la tenuta del sistema, perché vi sono buone ragioni, in base all’esperienza pregressa di inizio XXI secolo, per sostenere che le entrate garantite dall’export di gas e petrolio non verranno utilizzate per avviare un processo di modernizzazione dell’economia e della società necessario per competere con gli altri Paesi.
Il rischio di un aumento ulteriore del divario tra la Russia da un lato e Cina, Stati Uniti e Unione europea dall’altro è reale, e potrebbe avere dei seri contraccolpi. L’economista russa Vladislav Inozemtsev, noto per le sue posizioni eclettiche e di dura critica ai vertici di Mosca, ha paragonato questo possibile scenario di aumento delle entrate all’ultimo respiro nella maschera del respiratore, e questa prospettiva lascia molti interrogativi su cosa accadrà dopo Putin.
Non è detto che vi sarà un trionfo delle opposizioni, divise al proprio interno e spesso alla ricerca più di un simbolo e di un leader carismatico che di un programma, anche perché i principali protagonisti politici di oggi non è detto che lo saranno domani. Nemmeno è possibile pensare a una possibile entrata in scena di un regime dittatoriale di tipo poliziesco o militare, che sarebbe una novità nella storia russa, caratterizzata sì da una forte presenza (e che presenza) dell’apparato repressivo ma sempre nella cornice di sostegno e supporto di altri sistemi, e che si troverebbe nella difficoltà di dover gestire una società comunque complessa solo offrendo un peggioramento complessivo della situazione socioeconomica.
Probabilmente, come accadde nel 1991 durante il putsch, i siloviki proveranno sì a giocare le proprie carte, ma nell’attesa di capire quale schieramento risulterà vincitore dalla competizione per il potere, schieramenti forse composti da alleanze inedite di pezzi di establishment, opposizioni di ieri e nuovi centri di potere formatisi nel corso del tempo.
Nel delineare il futuro, si rischia sempre di prendere grosse cantonate, e sicuramente tra qualche anno quest’articolo risulterà fuori fuoco, ma si tratta anche di un invito a riflettere su come spesso, quando si parla di Russia, si inquadrano solo le mosse di Putin e i rapporti di forza di oggi all’interno del potere, in una logica di discussione (spesso falsata) dettata dall’eterno presente. Ma la politica è anche la capacità di progettare il futuro, e non bisognerebbe dimenticarlo, quando si analizzano vicende e fatti di società e Paesi.