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La Difesa europea è con la Nato. Il realismo di von der Leyen

Ursula von der Leyen sgombra il campo da dubbi e allunghi: Difesa europea significa più cooperazione con la Nato. Per questo, entro fine anno arriverà una nuova dichiarazione congiunta tra le due organizzazioni. Anche sugli strumenti da adottare: “Finora ci ha frenato la mancanza di volontà politica”. Dunque, avanti tutta con lo Strategic Compass, con l’integrazione di capacità (magari togliendo l’Iva dall’acquisto di materiali d’arma europei) e con la condivisione delle informazioni sulle minacce

Il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dalla presidente Ursula von der Leyen riporta nei canali del pragmatismo il dibattito sulla Difesa comune. Battlegroup o forze di intervento rapide potranno essere parte della soluzione, ma non sono al momento il punto centrale: “Si possono avere le forze più avanzate al mondo, ma se non si è mai pronti a utilizzarle, qual è la loro utilità?”, ha chiesto la presidente della Commissione. Di più: “Ciò che ci ha frenato finora non è solo una carenza di capacità, ma piuttosto la mancanza di volontà politica”.

La riflessione parte anche per l’ex ministra della Difesa di Germania dal ritiro dall’Afghanistan, che ha palesato l’esigenza per l’Ue di assumersi maggiori responsabilità sulla scena internazionale: “Dobbiamo riflettere su come sia stato possibile che la missione si sia conclusa così bruscamente”. In tal senso, “vi sono questioni profondamente preoccupanti che gli alleati dovranno affrontare all’interno della Nato”, ha detto von der Leyen, chiarendo subito dopo che “non esistono problemi di sicurezza e di difesa per i quali la risposta sia una minore cooperazione”. Dunque occorre “investire nella partnership” con l’Alleanza Atlantica, e  “attingere alla forza precipua che caratterizza ciascuna delle parti”.

La linea è quella sposata da sempre dall’Italia: una Difesa europea “in piena sinergia con la Nato” (ribadiva Lorenzo Guerini in visita a Washington), non alternativa e che eviti duplicazioni e sovrapposizioni. Si lega all’interpretazione di “autonomia strategica” (termine che von der Leyen non ha utilizzato nel suo lungo discorso) come rafforzamento del pilastro europeo nell’alleanza transatlantica, e non come indipendenza dall’alleato d’oltreoceano. “Per questo motivo – ha spiegato la presidente – stiamo lavorando con il segretario generale Jens Stoltenberg a una nuova dichiarazione congiunta Ue-Nato da presentare entro la fine dell’anno”. Si ricorda che, a settembre 2019, quando Emmanuel Macron rilanciava l’idea di “un vero esercito europeo”, fu proprio von der Leyen a stoppare l’allungo: “l’Unione europea non sarà mai un’alleanza militare”, perché per quello c’è la Nato.

Ma il rapporto con l’Alleanza “è solo una parte dell’equazione”, ha detto oggi la presidente. Da parte sua “l’Europa può, e chiaramente dovrebbe, essere in grado e avere la volontà di fare di più in autonomia”. Il primo passo è spiegare il “perché”. Ci sono tre motivi che legittimano tale ambizioni. In primo luogo, le crisi nel vicinato dell’Ue, “crisi esterni che si possono ripercuotere all’interno”. Secondo, l’evoluzione della minaccia, tra “attacchi ibridi o informatici e la crescente corsa agli armamenti spaziali”. Sono le tecnologie dirompenti ad aver “livellato” i rapporti di forza, ha spiegato von der Leyen, consentendo anche a piccoli attori non statuali di mettere in pericolo la sicurezza di nazioni apparentemente ben strutturate: “Si possono paralizzare impianti industriali, amministrazioni cittadine e ospedali con un semplice computer portatile”.

La terza ragione per elevare l’ambizione dell’Ue sulla scena internazionale è rappresentata dalla sua capacità di essere “un garante di sicurezza unico nel suo genere”, capace di “combinare aspetti militari e civili, diplomatici e di sviluppo”, sfruttando “la grande esperienza nel costruire e proteggere la pace”. Rientra nelle categorie di peace-building e institution-building, forse proprio il campo che è mancato in Afghanistan e quello sul quale l’Unione potrebbe affiancare la Nato e l’Onu. Per queste tre ragioni c’è bisogno di una “Unione europea della Difesa”, ha spiegato von der Leyen. Oltre alle ipotesi sugli strumenti da adottare, la sfida da affrontare è “la mancanza di volontà politica”.

Seguono nel discorso della presidente tre esempio da cui si potrebbe partire per sviluppare tale volontà politica e incanalare la Difesa comune verso una strada di efficacia. Primo, la condivisione delle informazioni di intelligence (per una “comune conoscenza situazionale”), così da avere una visione condivisa della minaccia, essenziale per passare poi alla condivisione della strategia di risposta (qui il focus). Secondo, “migliorare l’interoperabilità”, per avere condivisione sugli strumenti da mettere in campo. Il tema tocca da vicino le questioni industriali, su cui la Difesa comune è andata avanti con più determinazione negli ultimi anni. “Ecco perché stiamo già investendo in piattaforme comuni europee, dai velivoli da combattimento ai droni e alla cibernetica”, ha detto al Parlamento europeo. Eppure, “dobbiamo continuare a pensare a nuovi modi per utilizzare tutte le possibili sinergie”. Ne deriva una proposta rilevante: “l’esenzione dall’Iva per l’acquisto di materiale di difesa sviluppato e prodotto in Europa; ciò non solo amplierebbe la nostra interoperabilità, ma ridurrebbe anche la nostra attuale dipendenza”. Il terzo esempio riguarda il cyber-spazio: “non si può parlare di difesa senza parlare di cibernetica; se tutto è collegato, tutto può essere piratato”. Anche in questo caso von der Leyen spinge per una maggiore cooperazione e integrazione.

Per tutto questo, il primo basso è lo Strategic Compass, la bussola strategica che metterà a sistema le varie iniziative già in campo e, soprattutto, dovrà dotare l’Unione di strategie comuni e obiettivi precisi. L’accelerazione è attesa per il prossimo semestre di presidenza dell’Ue. “Durante la presidenza francese – ha annunciato von der Leyen – convocherò con il presidente Macron un vertice sulla difesa europea”.

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