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Aerospazio italiano, perché ci serve un fondo di private equity di sistema

Di Alessandro Sannini

Un passo prioritario sarà quello di creare un insieme di relazioni finanziarie, come quelle con investitori di private equity e di private debt. L’intervento di Alessandro Sannini, Ceo di Twin Advisors&Partners – Aereospace Investment Advisors

Il settore italiano dell’aerospace è composto da organizzazioni attive nella progettazione di componenti, sistemi, apparati ed equipaggiamenti, da aziende impegnate in lavorazioni in addictive manufacturing e altre che realizzano componenti in materiali compositi, oltre che da organizzazioni impegnate nei sistemi di controllo e comunicazione, in sistemi di spedizione e logistica specializzata, con circa il 70% delle loro produzioni che sono destinate ai mercati esteri. è innegabile che questo settore abbia un’alta valenza geopolitica, definendo non solo le traiettorie di sviluppo tecnologico ed economico, ma soprattutto le linee di tendenza relative alla strategia di politica estera che l’Italia perseguirà. In una fase storica in cui gli equilibri tra le grandi potenze sono definiti prevalentemente sul terreno dell’avanzamento tecnologico, della collaborazione industriale ed economica, l’Italia può assumere un ruolo centrale a livello europeo nel rafforzare la partnership con gli Stati Uniti.

Come sappiamo, la trasformazione digitale ha un impatto su tutti i settori, proprio il settore aerospaziale. Questo rende doppiamente strategica l’innovazione che l’integrazione “digital + aerospace” può abilitare.

Si parla di un mercato completamente nuovo – la Space Economy – che già vede cifre di crescita straordinarie. Il fatto che la Space Economy sia spesso chiamata in causa anche come l’unica in grado di “risolvere” la crisi del clima, aumenta ulteriormente le aspettative associate a questo settore.

Abbassamento costi, gestione dei big data e disponibilità di capitali resi possibili dalla digitalizzazione sta rapidamente consolidando un settore aerospace privato con aziende, investitori e startup pronti ad affiancare (o sostituire) iniziative che finora sono state solo pubbliche. I recenti lanci in orbita di Bezos e Branson, che hanno affiancato le attività spaziali già in corso da parte di SpaceX di Elon Musk, sono la dimostrazione che qualcosa è cambiato per sempre.

Questa è l’America, ma parlando dell’Italia in un contesto europeo,  per quanto abbiamo una galassia di pmi che fanno parte di una supply chain riconoscibile e di una certa tradizione, dovremmo forse imparare qualcosa dai francesi.

Il settore aerospaziale francese è costituito da circa 3.000 imprese, principalmente concentrate nelle regioni dell’Ile de France, Aquitaine e Midi Pyrénées, ad elevata diversificazione tra cui grandi produttori di sistemi e piccole e medie aziende. Occupa più di 187.000 addetti e genera unturnover, con un trend in crescita, di 60 miliardi di euro (dati relativo al 2016) di cui 80% dall’esportazione. Il solo bacino aerospaziale dell’Ile de France conta 2.000 imprese e un forza lavoro specializzata di 100.000 addetti (Centro Estero Piemonte).

Il settore rappresenta un’eccellenza tecnologica ed economica per la Francia. È infatti precursore di innovazione e acceleratore dello spillover di conoscenze tra i vari comparti industriali, grazie anche al supporto di una supply chain dinamica e soprattutto un sistema finanziario, di advisory e di cultura manageriale maturo e attivo.

Sembra che il grosso appeal in Italia sia solo del Venture Capital nel settore Aereospace. Sarà vera gloria? Saranno unicorni o ronzini? Certamente la pubblicità e la propaganda è tanta ma i risultati si vedranno in futuro. Se si ritiene che il supporto al settore provenga dalle coloratissime start-up che danno toni nuovi nel blu sublime dello spazio profondo forse è un po’ entusiastico soprattutto visto che l’ecosistema italiano non è tra i più frizzanti d’Europa e probabilmente siamo arrivati ad un eccesso di start-up in generale che come le influncers  scimmiottano Chiara Ferragni, qui forse il loro idolo è Elon Musk.

Però, bisogna essere sinceri, il marketing mix di Space Economy (pensando a Elon Musk e Jeff Bezos) unito a un po’ di propaganda, fa pensare che la grande chiave per sostenere il settore dell’aerospazio in Italia sia quella del venture capital. Non bisogna essere contro a questa prima fase della nascita nuove aziende. Lo Space è un qualcosa di ancor più verticale, che ha bisogno di essere compreso in traiettorie di politica industriale differenti, che dovrebbero essere sistemiche ed è forse venuto il momento di consolidare e promuovere la galassia delle nostre piccole medie imprese. In qualche caso la Space Venture Capital mania ha contagiato qualche pmi che già sprovvista di poche traiettorie e di un sistema organizzativo e strategico debole si cimenta nel voler acquisire start-up e similari.

Space Economy sembra essere diventato un termine passepartout per dimostrare come gli investimenti nel settore spaziale abbiano sicure ricadute commerciali e sociali, a beneficio del nostro Paese. Ma nell’attuale competizione globale, ciò accadrà solo attraverso una politica industriale con chiari obiettivi geopolitici, strategici ed economici.

Un passo prioritario, pertanto, pur essendoci un apparato produttivo e tecnologico rilevante, sarà quello di creare un insieme di relazioni finanziarie, come quelle con investitori di private equity e di private debt, nonché della Borsa e quell’organizzazione strutturata di fornitura in grado di garantire una maggiore competitività alle imprese fatta di aggregazioni e proiezioni internazionali.

Il settore aeronautico, e soprattutto quello spaziale, si caratterizza per investimenti e cicli finanziari di lungo periodo, remunerati tuttavia da elevati ritorni in termini di fatturato e di redditività. In questa prospettiva, un miglioramento nel dialogo con gli operatori bancari e i linea generale la disintermendiazione dagli stessi, pilotata tuttavia da una maggior apertura da parte delle imprese, con sistemi più organizzati di richiesta, sicuramente consentirebbe di realizzare una finanza che possa dare un reale supporto allo sviluppo di tali progetti.

Al giorno d’oggi, un manager soprattutto nel settore aereospace che non conosce l’investimento in private equity e i prodotti di private debt è suscettibile di perdere rapidamente una clientela sempre più esigente, proprio come un albergatore che persiste nel non offrire il Wi.Fi ai clienti.

A parte le caratteristiche tipiche della piccola media impresa italiana, oggi i nodi del passato stanno venendo al pettine. Sono rimasti inascoltati gli appelli volti a favorire e incentivare la crescita dimensionale delle imprese e il cambio di paradigma verso una moderna struttura da vere società di capitali, con relativa separazione tra proprietà e management al crescere delle dimensioni. Gli aiuti pubblici stanno provando a tenere a galla il maggior numero di imprese possibili, ma il futuro non sembra roseo, anche perché non si possono trascurare gli effetti sul debito pubblico e le relative conseguenze.

Resistere potrebbe non bastare. È giunto il momento di compiere un salto di qualità che favorisca il rafforzamento del nostro tessuto economico, respingendo le tentazioni dirigiste. Non è mai troppo tardi.  Specialmente nel mondo dell’aereospazio, un’ottimizzazione, nuovi investimenti e la diversificazione delle fonti di finanziamento, dovrebbe portare a un superamento di una condizione statica di fornitura. Occorre innanzitutto dotarsi di un sistema di fornitura in grado di proporre prodotti non solo ai committenti nazionali ma anche a quelli più grandi internazionali. Solo in questo modo si può creare il giusto incentivo affinché tali imprese possano uscire da un modello produttivo statico e passivo. Ma questo significa anche dotarsi di un sistema di pianificazione e controllo e di un sistema tecnologico condiviso, in modo da proporre al mercato prodotti qualitativamente superiori al fine, da un lato, di soddisfare le richieste sempre più sofisticate della domanda internazionale, e, dall’altro, di contribuire al miglioramento dell’offerta dei leader nazionali.

In Italia c’è bisogno di un fondo di private equity di sistema che nasca dalle esigenze dei territori, con traiettorie tecnologiche  dei leader nazionali e con un focus d’investimento europeo.

È irrinunciabile che sia “di sistema”, cioè che abbia un dialogo continuo il CTNA (Cluster Tecnologico Nazionale Aerospazio)  e con i distretti/cluster regionali, riattivando l’idea del  progetto di rete interdistrettuale, che può essere importante non solo per il settore aerospaziale ma anche per la competitività dell’intero Paese, come sprone per altri progetti, specie in un periodo come questo quando la politica nazionale ed europea danno sempre più importanza alla capacità di competere su reti lunghe di imprese. Potrebbe essere in sostanza un esempio di come tale politica possa anche far leva su esperienze che, pur partendo dal basso, hanno quel grado di innovatività e organizzazione tale da garantire al settore di reggere l’urto della competizione internazionale.

Per il fondo di equity sarà un vantaggio quello di poter superare le classiche asimmetrie informative che si riscontra nella selezione degli investimenti che creano una grande difficoltà nella ricerca di target adeguati.  Inoltre, specialmente in un settore così globale e in evoluzione le cosiddette  PEBC (Private Equity Backed Company) possono registrare numeri notevolmente migliori rispetto la media delle loro comparables, in termini di redditività, di occupazione e di crescita e di stabilità finanziaria. Non è il caso di divagare nei particolari tecnici di come è fatto un fondo di private equity, ma è importante sottolineare l’opportunità di investimento. Può apparire molto verticale, ma la realtà italiana smentisce questa idea, visto che ci sono molte aziende classificate come aereospaziali che hanno come core business altri settori della manifattura come l’automotive o altro sempre nel mondo della grande tradizione italiana con know-how centenario.

Alle aziende della Space Economy l’ingresso di questo socio prevalentemente di minoranza deve portare e essere uno strumento di crescita organizzativa interna, con formazione ad hoc per il management, magari con una prestigiosa business school italiana, e deve avere essenzialmente la capacità di guidare l’azienda nell’utilizzo di altri strumenti come obbligazioni ed eventuale quotazione in borsa, sfruttando la potenza di fuoco Euronext (controllante di Borsa Italiana), che è di fatto una federazione e con una giusta strategia garantisce un’uscita dell’investitore al momento giusto e una crescita sui mercati, aprendosi al dialogo con investitori internazionali.

Una buona guida a livello strategico e di governance può evitare casi di azione che sono state quotate in borsa nonostante non fosse il momento giusto, mantenendo un aspetto estremamente padronale o peggio con una governance frammentata priva di una preparazione di crescita che porta a saper aver a che fare con i mercati di capitale e soprattutto con gli equilibri del mondo dell’aereospace.

Nell’ambito di un’economia di mercato, quando si fa riferimento all’intervento dello Stato nel capitale delle imprese, il presupposto fondamentale è che questi interventi siano per loro natura temporanei e, superato il momento di crisi che li ha resi necessari, consentano, con meccanismi chiari e predefiniti, di ristabilire un appropriato equilibrio delle logiche del mercato e della concorrenza, evitando rischi di “spiazzamento” degli operatori privati o un’eccessiva o permanente presenza del soggetto pubblico nell’ambito del tessuto economico produttivo del Paese. Nel caso dell’aereospace Italiano c’è una filiera strategica di altissimo livello con grandissime opportunità e una certa maturità, che valorizzata non ha nulla da invidiare a Francia e Germania.

La criticità di questi aspetti è ben nota e tutti gli strumenti che negli anni si sono identificati nei vari Paesi per affrontare crisi di vario genere hanno sempre cercato, con modalità diverse, di coniugare tali importanti equilibri. E così dovremo fare anche noi. L’approccio che sarebbe auspicabile è quello suggerito da EVCA (oggi Invest Europe) come metodo ottimale per strutturare i fondi misti a capitale pubblico e privato (EVCA, 2001) e utilizzato da numerosi fondi misti di notevole importanza nel mondo. Mi riferisco all’approccio denominato “up side leveraged scheme”, che prevede che nell’ambito di un fondo misto pubblico/privato, in caso di perdite, i capitali pubblici e quelli privati sopportino nelle stesse proporzioni i danni economici conseguenti, senza meccanismi di recupero “a fondo perduto” a favore dei soggetti privati (distribuzione simmetrica delle perdite), mentre in caso di successo (identificabile nel raggiungimento di un ritorno effettivo sugli investimenti effettuati) i capital gain realizzati, anziché essere distribuiti fra ente pubblico e soggetto privato proporzionalmente alle quote sottoscritte nel fondo, siano attribuiti in massima parte al soggetto privato, previo recupero da parte del soggetto pubblico di tutti i capitali originariamente investiti e anche di un ritorno (quantunque calmierato) a livello di tasso di interesse (distribuzione asimmetrica in caso di successo).

Questa digressione abbastanza tecnica è per sottolineare come l’aerospazio si presti bene a questo tipo di partnership pubblico-privato, che però devono essere equilibrate. Affinché non degenerino in un aiuto di stato mascherato o peggio in finanziamenti a fondo perduto, in cui poi non si riscontra il rendimento atteso.

In questo caso l’incubazione, l’accelerazione e il venture capital diventerebbe meno “pay and pray” perché le target sarebbero idealmente coinvolte in programmi corporate venture capital. Che vuol dire creare delle startup ad hoc ad uso e consumo di una traiettoria, ad esempio tra prime contractor e supply chain diminuendo il rischio di mercato e di investimento, soprattutto perché l’aereospazio ha cicli di sviluppo e d’investimento lunghi e in qualche caso molto costosi, che in qualche caso non valgono la scommessa come se si trattasse di qualcosa di un qualcosa di digital/media, dove i metodi di valutazione sono totalmente differenti e non è condivisibile ad esempio nella valutazione di un team che nessuno sappia qualcosa di aereospazio.

L’aspetto europeo di un private equity aereospace è quello di poter avere un focus italiano, ma in chiave opportunistica, avendo anche la possibilità di acquisire secondo una logica strategica anche aziende europee o americane che portino un vantaggio competitivo a un’altra azienda target italiana o già presente nel portafoglio.

L’opportunità è grande sulle pmi italiane, con rendimento per gli investitori e crescita economica per un settore con la possibilità attrarre investitori esteri.

Sono in corso esperienze europee di livello guidate da Tikehau, il fondo di Mustier, denominate ACE, che sia in Francia che in Spagna stanno dando ottimi risultati. La vera sfida politica per il nostro paese consiste nell’abilità di configurare a breve termine una struttura “pensante” che indichi una visione strategia industriale e di ricerca per lo spazio, con obiettivi di prodotto che poi, se vincenti, diventeranno remunerativi anche sul piano commerciale oltreché strategico, senza per forza restare totalmente ancorati all’ambito europeo. La necessità per quanto riguarda la nascita di un operatore di private equity di sistema è quella di una partnership pubblico privata reale e ben bilanciata, un deciso stakeholder engagement e una visione europea, non necessariamente ad esempio con un veicolo d’investimento di diritto italiano, cercando così di attirare investimenti in una logica di mercato globale. Bisogna in ogni caso, in questa specifica filiera industriale, uscire dalla logica dello stato imprenditore in quanto si sta verificando sempre di più uno spostamento da un mondo governativo a un mondo privato, soprattutto per la componentistica e per la natura del nostro tessuto produttivo.

Auspichiamo che qualcuno accetti la sfida di far volare le PMI dello Spazio Italiano, lo faccia presto con spirito Europeo, filoatlantico e cuore italiano.

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