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Cashback, meglio un bell’addio o una minestra riscaldata?

Di Ludovico Adorno

Con l’avvicinarsi della legge di Bilancio 2022, si sta tornando a parlare della possibilità di ripristinare la misura cashless voluta dal governo Conte ma in forma light e indirizzata particolarmente ai redditi più bassi. Peccato però che le ipotesi di riforma che circolano sono per certi aspetti peggiori della sua versione originaria

Come spesso accade in molte storie d’amore da romanzo d’appendice, anche col cashback ci eravamo detti solo “arrivederci”. E in effetti, nonostante le campane a giubilo di alcune forze politiche che ne festeggiavano lo stop il 30 giugno scorso, lo stesso schema di decreto che lo sospendeva prevedeva anche la possibilità di farlo ripartire dal gennaio 2022.

Con l’avvicinarsi poi della legge di bilancio 2022, si sta tornando a parlare della possibilità di ripristinare la misura cashless voluta dal governo Conte ma in forma light (con la dotazione ridotta a 500 milioni) ed indirizzata particolarmente ai redditi più bassi. Peccato però che le ipotesi di riforma che circolano sono per certi aspetti peggiori della sua versione originaria.

La prima ipotesi al vaglio sarebbe quella di “conteggiare” il cashback 2.0 solo a partire dalle spese incrementali rispetto ad un dato periodo di riferimento (verosimilmente il primo semestre 2021). Se però parliamo di una iniziativa rivolta alle classi meno abbienti è difficile pensare che queste – tra l’altro in presenza come vedremo di un rimborso persino ridotto rispetto al passato – possano o vogliano spendere addirittura di più e in forma rilevante tale da trarne vantaggio. Per ovviare a questa incongruenza, però, l’eventuale riforma valuterebbe già l’ipotesi di ridurre il numero minimo di transazioni per accedere al bonus, che in origine erano 50 a semestre. Questa ipotesi, però, su tutte sarebbe quella che più snaturerebbe uno dei principi cardine del cashback: ovvero quello di far rientrare nell’uso quotidiano le spese con i pagamenti elettronici anche per importi di piccola entità, come il famoso caffè al bar. Stando ai dati di cui disponiamo, infatti, oltre l’80% della spesa del cashback versione 1 è stata per importi inferiori ai 50 euro, mentre ben il 16,3% ha riguardato gli importi inferiori ai cinque euro. Così facendo, invece, basterebbero pochi e concentrati acquisti per ottenere il bonus.

La terza ed ultima (per ora) ipotesi di riforma riguarderebbe poi la riduzione stessa dei rimborsi come naturale conseguenza della più stretta dotazione dell’intera misura cashless. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un potenziale autogol. Un cashback meno ricco – ma pur importante per chi percepisce già uno scarso reddito – sarebbe inevitabilmente un po’ meno interessante per favorire il più frequente utilizzo della moneta elettronica ed incentivare indirettamente la digitalizzazione del Paese (ciò che è sempre stato probabilmente il fine ultimo e il più importante risultato raggiunto dal cashback). Il potenziale risultato di questa terza forma di revisione è che dal risparmio si finisca con lo spreco di risorse, passando quindi dal danno alla beffa.

Qui si è parlato solo delle prime e vaghe ipotesi al vaglio, se davvero si vorrà ripristinare il cashback la legge di bilancio 2022 ci fornirà elementi di valutazione più solidi. A questo punto però viene da chiedersi se sia meglio un bell’addio sulla scorta di quanto fatto o riabbracciare una scialba minestra riscaldata?

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