Alla base di Frascati dell’Agenzia spaziale europea c’è da oggi un nuovo centro (Neocc) per la difesa da eventuali asteroidi in caduta verso la Terra. Metterà insieme analisi e osservazioni, valutando anche ipotesi di risposta. L’impegno italiano sul tema si conferma di primo piano. È quasi tutto pronto per la partenza di LiciaCube, il piccolo satellite che osserverà da vicino la prima missione di difesa interplanetaria
Da oggi l’Europa ha un occhio in più per osservare lo Spazio e valutare il rischio di eventuali asteroidi in picchiata sulla Terra. È il Near-Earth object coordination center Neocc), inaugurato presso la sede Esrin dell’Agenzia spaziale europea (Esa), a Frascati, inserito all’interno dell’Ufficio di difesa planetaria dell’ente. Fungerà da struttura di coordinamento, analisi e raccolta dei dati derivanti dai vari osservatori dello Spazio, telescopi e non solo. “Il nostro nuovo Neocc e le sue attività sono un importante strumento di cooperazione internazionale, che riflette il carattere globale dei pericoli che tutti noi potremmo dover affrontare a causa degli asteroidi”, ha spiegato il direttore generale dell’Esa Josef Aschbacher.
Dal 2019 l’Esa ha lanciato il suo programma di difesa spaziale, chiamato “Space Safety”. Prevede la costruzione di avanzati “occhi” telescopici (i FlyEye) puntati al cielo e ol miglioramento delle capacità computazionali per predire i rischi di impatto. Forte il carattere internazionale e l’apertura alla collaborazione con altre realtà. Come notato dal responsabile del centro Neocc Luca Conversi, “le osservazioni e i dati sugli asteroidi provengono da tutto il mondo”. Così, ha aggiunto, “ogni giorno il team del Centro di coordinamento utilizza questi dati per determinare l’orbita e il rischio di impatto di questi antichi corpi celesti”. D’altra parte, “più capiamo la traiettoria di un oggetto, più abbiamo certezza che non colpirà la Terra”. Eppure, “ci stiamo preparando anche a situazioni in cui ciò non dovesse essere il caso”.
Di recente un’idea sulle probabilità effettiva è arrivata dalla Nasa. A metà agosto, i ricercatori del “Near-Earth object observations program”, guidati dall’italiano Davide Farnocchia, hanno pubblicato sulla rivista Icarus i risultati dell’analisi su nuovi dati relativi all’asteroide Bennu, il più celebre delle cronache scientifiche. Scoperto nel 1999 grazie all’osservazione telescopica, Bennu rientra nella categoria di “asteroidi Apollo”. Sono oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra a causa della possibilità di impatto, poiché hanno un’orbita intorno al Sole con afelio esterno all’orbita del nostro Pianeta e perielio interno. Il risultato è che le due orbite si possono intercettare, da qui il possibile rischio di un impatto che risulterebbe particolarmente catastrofico. Ebbene, la probabilità che si schianti sulla Terra nei prossimi trecento anni è dello 0,057%, cioè una su 1.750. La data più plausibile è fissata al 24 settembre 2182, con una probabilità che scende però allo 0,037%, pari a una su 2.700.
Ciò conferma che la minaccia di un asteroide in picchiata sulla Terra non appare (fortunatamente) ancora concreta. Certo, non si esclude che in futuro non possa rappresentare un rischio importante (se non vitale) per il nostro Pianeta. È per questo che, oltre alle analisi previsionali e alle osservazioni, tra Europa e Stati Uniti si lavora anche su eventuali capacità di difesa. In tutto questo l’Italia è tra i protagonisti.
“La Difesa planetaria è prioritaria per il nostro Paese – ha spiegato il presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia – come si evince anche dalla partecipazione al primo esperimento di deflessione degli asteroidi attraverso le missioni Dart, LiciaCube Hera; l’Italia sostiene fin dall’inizio i programmi Esadedicati alla sicurezza spaziale, come un’opportunità volta a offrire a livello mondiale valore alle competenze della comunità scientifica italiana il cui lavoro è incentrato sul pericolo degli asteroidi”.
Da diversi anni Nasa ed Esa hanno iniziato a lavorare sul programma “Asteroid impact & deflection assessment”, volto a scoprire le possibilità di una difesa interplanetaria. Per primi partiranno gli americani, alla fine di quest’anno, con la missione Dart, letteralmente “dardo”. La sonda punterà dritto verso Didymos, un sistema binario (classe che comprende circa il 15% degli asteroidi conosciuti) nello Spazio profondo, a circa undici milioni di chilometri dalla Terra. Con una massa di circa 500 chilogrammi, dovrà impattare a una velocità di circa 21mila Km/h (circa sei chilometri al secondo) Dimorphos, il più piccolo dei due asteroidi, pari a circa 160 metri, come la piramide di Giza, cercando di modificarne l’orbita. Potrebbe accadere già nel 2022, considerando che l’arrivo a destinazione di Dart è fissato a undici mesi dalla partenza.
Argotec, azienda aerospaziale di Torino, con il finanziamento e la collaborazione dell’Asi è stata incaricata dalla Nasa di realizzare LiciaCube, un piccolo satelliti che sarà a bordo di Dart. Poco prima dell’impatto, dovrà staccarsi da Dart per acquisire immagini ad alta risoluzione del cratere e dei detriti generati dalla collisione. Procederà in navigazione autonoma, compiendo un fly-by del sistema di asteroidi mantenendosi a circa 50 chilometri di distanza. Offrirà le prime informazioni utili a capire i risultati della missione. A supportare la missione ci sarà un team tutto italiano, composto da ricercatori dell’Inaf, del Politecnico di Milano, delle Università di Bologna e Parthenope di Napoli, dell’Ifac-Cnr di Firenze.
Quattro anni dopo, alla fine del 2026, al sistema Didymos si avvicinerà invece “Hera”, dal nome della dea greca del matrimonio, contributo europeo al programma di difesa interplanetaria. Con lancio previsto nel 2024, il veicolo spaziale dovrà eseguire un rendez-vous con l’asteroide e sei mesi di studi ravvicinati sul “cratere sostanzioso” che la sonda americana dovrebbe essere riuscita a produrre su Dimorphos.