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Governo Draghi, un esperimento epistocratico

Il Governo Draghi è un governo epistocratico all’interno di un governo democratico. L’inconsistenza dei partiti ha prodotto il governo dei competenti, evidenziando la profonda crisi della democrazia rappresentativa. Continueremo a lungo con il governo dei consulenti o sapremo stimolare un ecosistema politico capace di comprendere e rispondere al cambiamento? Il commento di Pietro Paganini

In Italia stiamo sperimentando, per la prima volta da quando si è radicata l’idea di democrazia, l’Epistocrazia, almeno in versione contemporanea. Le tradizionali istituzioni della Democrazia continuano ad esistere ma hanno ceduto una parte (quantitativamente) minima ma (qualitativamente) importante delle proprie funzioni ad un gruppo ristretto di competenti. Ceduta nel senso che il Parlamento ha accettato di farlo senza un preventivo dibattito.

  • Infatti, i poteri esecutivo e legislativo continuano ad esserci ma hanno passato le decisioni più importanti per uscire dalla crisi pandemica ad un gruppo ristretto. All’interno del governo democratico, vi è un governo epistocratico.
  • Molti cittadini sono pienamente soddisfatti dall’operato dell’attuale governo epistocratico, mentre nutrono un crescente rifiuto per quello democratico e per il Parlamento.

L’affermazione dell’Epistocrazia italiana evidenzia il cattivo funzionamento dei meccanismi tradizionali della Democrazia.

  • Già molto prima della pandemia le istituzioni che sono deputate a rappresentare i cittadini, e cioè partiti, movimenti politici, e corpi intermedi, hanno dimenticato che le scelte democratiche si nutrono del conoscere i fatti concreti e poi si sono dimostrati incapaci di comprendere il radicale cambiamento in atto (globalizzazione e evoluzione tecnologica) e quindi nel complesso di fornire le risposte adeguate ai problemi della convivenza.
  • Nell’ultimo quarto di secolo hanno cancellato il dibattito politico sulle idee. Di conseguenza non sono stati capaci di elaborare alcuna proposta culturale in cui i cittadini possano identificarsi per costruire il futuro.

Il governo si divide in due parti.

  • Un gruppo ristretto di competenti che propongono soluzioni pragmatiche per risolvere con successo (solo) alcuni problemi che si è impegnato ad affrontare.
  • Un gruppo più ampio che rappresenta i partiti che compongono e legittimano il governo che, persistendo nelle cattive abitudini, si occupano di tutto tranne che di risolvere problemi.

La debolezza della parte partitica del governo (basti pensare alle autolesionistiche dimissioni del governo precedente, rassegnate per eccesso di furbizia avendo avuto la fiducia in Palamento da pochi giorni) ha giustificato prima la necessità della scelta di Mattarella e dopo la presenza nell’esecutivo di un gruppo epistocratico che opera, di fatto, per conto suo.

  • Il gruppo epistocratico presenta le proprie scelte al resto del governo e dei partiti che lo compongono in un’ottica quasi consulenziale piuttosto che di confronto democratico. I partiti accettano questa situazione, perché consente loro di continuare a gestire il potere burocratico e finanziario.

Si può concordare o no con l’operato e il metodo del governo dei competenti come lo si è con i servizi di una società di consulenza. Non vi è nulla di male in questo. Non è un attentato alla Democrazia. Al contrario, sono i meccanismi distorti della nostra Democrazia rappresentativa che hanno prodotto l’epistocrazia temporanea, con lo scordarsi che governare si nutre di conoscenza.

  • Nel momento in cui i partiti dovessero decidere di staccare la spina al governo Draghi, i competenti sono licenziati.

A questo punto però, ci si pone una domanda: chi sostituisce gli epistocratici? Partiti e movimenti politici si sono culturalmente impoveriti e non sono oggi in grado di presentare alcuna proposta ai cittadini.

  • Ci si affida quindi a loro con la fondata paura che non combineranno un granché, ma genereranno tensioni sociali radicali?
  • Si ritorna sul mercato a cercare un buon consulente?

La ragione istituzionale vorrebbe che fossero i partiti a rianimare la democrazia. Per farlo dovrebbero abbandonare le logiche del potere (Pd, Fi, Lega, ecc.) oltretutto motivate con i rispettivi sogni utopici, per avviare un processo di cambio generazionale (non tanto anagrafico quanto attitudinale) attraverso idee e proposte.

La nostra democrazia ha bisogno di chi sia in grado di comprendere il cambiamento in corso e presentarsi ai cittadini con soluzioni nuove. Sapranno i partiti, diventati gestori del potere, ad avviare questo processo di cambiamento? Per ora, no. Sproniamoli a studiare per farlo.


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