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Green pass. La scelta europea, la politica-costituzionale e il Draghi vademecum

Di Angelo Lucarella

La politica dialoghi, vada nelle piazze ad ascoltare perché i lavoratori (anche quelli vaccinati) protestano. Bisogna capire intimamente quale sia il disagio contestualizzato. E comunque, in assenza di un Parlamento coeso sulla questione, Mario Draghi fa quel che deve. L’analisi di Angelo Lucarella

Un antico brocardo latino ci ricorda che Qualsiasi diritto fu originato da un consenso generale o fu imposto dalla necessità o fu confermato dalla consuetudine (cit. Omne ius aut consensus fecit, aut necessitas constituit, autfirmavit consuetudo). Sorge una prima domanda: con il Green pass si riconosce un diritto o si tratta di un obbligo?

Si parta dal considerare che, sulla seconda ipotesi, additare i governi nazionali serve a ben poco atteso che, quest’ultimi, non possono disconoscerne la doverosità dello strumento (salvo infrangere la portata normativa) ai fini di una migliore circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea in fase Covid. Discutibile o meno, la ragione sta nel fatto che il 14 giugno 2021 è stato emanato il regolamento europeo n. 953, entrato in vigore il giorno 1° luglio 2021, vigente sino al 30 giugno 2022 (come recita l’art. 17); vigenza stessa che non dipende dallo stato di emergenza dichiarato dal singolo Paese membro.

Orbene, alla prima domanda si potrebbe rispondere che il regolamento europeo ha uno spirito agevolativo in ordine al dover garantire il diritto (a monte riconosciuto) alla circolazione libera; tuttavia, per renderlo quanto più effettivo e percepibile possibile, l’UE ha pensato fosse necessario uno strumento di supporto-accompagnamento come il green pass con il fine di ridurre al minimo prevedibile ed immaginabile il rischio di contagio. Sorge una seconda domanda: è sufficiente il green pass per diminuire il rischio di contagi?

In parte sì, in parte no. Ci sono, evidentemente, da valutarsi ulteriori elementi soggetti alla variabilità propria e naturale della questione in analisi.
Un primo elemento, partendo da una domanda ricorrente nell’ultimo periodo del dibattito pubblico, è quale paura dovrebbe avere il vaccinato Sig. X del non vaccinato Sig. Y? Intuitivamente si potrebbe dire: niente paura. È ovvio, altrettanto, che se si avesse la certezza matematica, empirica, ecc. che con il vaccino escludesse tecnicamente qualsivoglia residuo di contagiosità, non staremmo a porci una serie di riflessioni. Quest’ultimo passaggio logico, però, dovrebbe appartenere a tutta la storia scientifica vaccinale. Dati alla mano, da quando è in atto la campagna vaccinale, i ricoveri in terapia intensiva sono molto calati. Nettamente si può dire.

Questo, sul piano politico-economico si traduce in meno risorse distratte da altri capitoli d’investimento e spesa corrente volti a fronteggiare le necessità di altri settori dell’assistenza sanitaria (oncologica ad esempio). E questo è il secondo elemento variabile della valutazione.
Il green pass, quindi, tecnicamente riduce il rischio contagi?

No, perché a tale funzione è deputato il vaccino. Diverso è dire che il green pass riduce o vorrebbe ridurre, socialmente parlando, le chance di interazione tra i presunti portatori del virus (quelli che non sanno di avere lo stesso poiché asintomatici) e coloro che o non hanno contratto il virus o che possono, comunque, ricontagiarsi.
Allora su questo sfondo il green pass, per come normativamente inteso, è utile (sul fronte della precauzione sociale) ma non funzionale, al cento per cento, sul piano della perfetta interazione tra le persone che, non si dimentichi, hanno diritto di libera circolazione.

È qui, però, che va considerata una riserva di attualizzazione (ma che, in realtà, sarebbe anche di applicazione); la si può leggere nel primo passo delle premesse del regolamento europeo suddetto: “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto fondamentale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. La direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio stabilisce le modalità di esercizio di tale diritto”.

Non altro, in parallelo implicito, ci si collega all’art. 16 della Costituzione italiana il quale riconosce il diritto di libera circolazione, ma ammettendo eventuali restrizioni – non permanenti – in ragione di una riserva di legge legata alla normazione “per motivi di sanità o di sicurezza”. Ed allora c’è da fare un’ultima considerazione: per chi è vaccinato e ha il green pass, quest’ultimo (cioè la certificazione verde), viene percepito in chiave d’indifferenza ovvero “sono vaccinato, esibisco il certificato verde, posso andare dove ho volontà di recarmi”.

Qui nasce l’inghippo giuridico: se io sono seduto al tavolino all’interno di un bar, previa esibizione del certificato appunto, mentre per la consumazione al banco (magari a distanza di solo 1 metro) c’è chi non ha bisogno di mostrare alcunché, quale rischio concreto si previene o si riduce?

Allora delle due l’una:

– o il green pass diventa, nel tempo, uno strumento al portatore (evitando casi di hackeraggio) per la conoscibilità informativo/sanitaria utile per i controlli di pubblica sicurezza e/o (esemplificando) di pronto soccorso, ricovero, ecc. strutturandosi verso una funzionalità di sistema complessivo (nel quale, immaginando il futuro, ci possa essere tutto lo storico sanitario di una persona senza più bisogno di fare ricerche cartacee “infinite” a ritroso e tra più strutture sanitarie che, il più delle volte, non riescono a dialogare prontamente tra loro data anche la livellazione su piani regionali differenziati);

– oppure il green pass, data la temporalità di utilizzo, rischia di essere effettivamente criticabile sul piano della perfetta funzionalità sociale benché molto utile.
Sia ben chiaro: nessuno ha la bacchetta magica, ma tutti dobbiamo concorrere a determinare la migliore soluzione possibile per garantire anche le minoranze (soprattutto le convinte e consapevoli).

Il problema di fondo, pertanto, è sul piano politico posto che su quello giuridico-costituzionale non dovrebbero esserci, grossomodo, storture alla luce di quanto sin qui riportato. Ma chi protesta, ad ogni modo, va ascoltato. Non può essere trascurato. Che sia una minoranza o meno non si può abdicare all’idea che basti il sovrannumero decisionale per far tacere bollori nella democrazia. Altro discorso va fatto per facinorosi, violenti, ecc. a cui la magistratura rivolgerà attenzioni come per legge.
Ma il ruolo della politica è ascoltare, pensare, equilibrare e decidere.

Non si può solo pensare a persuadere, ma anche a dissuadere. Così come andrebbe dissuaso, ma rispettato, chi non volendosi vaccinare combatte per la stessa ragione di chi invece lo fa in base alle informazioni ed alle consapevolezze maturate interiormente. C’è di fondo però un discrimine: rispetto a chi non si vaccina, allora, chi si vaccina assume un rischio maggiore non in relazione alla morte (perché i dati confermano l’opposto), ma in termini sia sociali che di solidarietà (anche sanitaria) come prevista dall’art. 2 della Costituzione.

Insieme, si vive in comunità, nel rischio minore. Quindi il green pass è legato ad un momento storico divisivo se non si interpreta nel senso della sua intrinseca temporalità di utilizzo, ma soprattutto di limitatezza della funzione. Questo è il problema principale a cui si dovrà far fronte tecnicamente. Non è l’utilità sanitaria in senso stretto ad essere in discussione, ma la reale funzionalità e fruibilità sociale (cioè solo per tracciare la contingenza di contatto in un determinato luogo) dato che non c’è normazione che limiti il campo effettivo.

Per dirla più semplicemente, se il green pass non viene proporzionato a situazioni e condizioni stiamo pur certi che, prima o poi, potrebbe diventare uno strumento di indagine a presunzione allargata (penale, amministrativo, tributario, ecc.), invece di rimanere semplicemente un veicolo agevolativo della circolazione. E con buona pace del diritto alla propria opinione, si può sempre percorrere la via referendaria, salvo quanto prescritto dall’art. 75 della Costituzione.

Ma c’è davvero bisogno di inasprire il Paese a tal punto da arrivare a questo? La politica dialoghi, vada nelle piazze ad ascoltare perché i lavoratori (anche quelli vaccinati) protestano e bisogna capire intimamente quale sia il disagio contestualizzato. In assenza di un Parlamento coeso sulla questione, Mario Draghi fa quel che deve.
Un rischio più grande della morte da Covid? La morte della democrazia. Per questo Draghi indica un proprio vademecum da seguire rispetto al quale molti non riescono, nel frattempo, a programmarne un altro.

Per aspera ad astra.

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