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La Nato guardi anche a sud. La linea (da Varsavia) di Lorenzo Guerini

Di Lorenzo Guerini

Al Warsaw Security Forum 2021 (1.500 partecipanti da 40 Paesi), che vede l’Italia in prima fila nel ruolo di “guest country”, il ministro Lorenzo Guerini ha aperto il panel dedicato alle sfide dal fronte sud dell’Alleanza Atlantica. Tra Russia, Cina e minacce in continua evoluzione, la convinzione che occorre una maggiore cooperazione tra Nato e Unione europea. Pubblichiamo un estratto dell’intervento del ministro

È innegabile che gli accessi più meridionali all’area euro-atlantica abbiano sempre rappresentato snodi strategici essenziali per la sicurezza dell’intera regione. Il fianco sud dell’Alleanza Atlantica si conferma teatro di un arco di crisi che pone alla nostra sicurezza condivisa le sfide meno intellegibili e perciò più pericolose. Sono, infatti, il frutto di dinamiche complesse che travalicano il confronto militare puro e semplice e che risentono di fattori di rischio sistemici che richiedono tempestività di reazione, attraverso l’impiego di tutti gli strumenti a disposizione: politici, economici, militari, culturali e sociali.

In altre parole, l’area del Mediterraneo allargato – che coincide largamente con il nostro fronte meridionale – conferma la sua strategica importanza di tessuto connettivo tra il nord e il sud del nostro emisfero e la sua centrale rilevanza quale irrinunciabile infrastruttura strategica tra l’Oriente e l’Occidente del globo. La nostra attenzione alle dinamiche del fianco sud è essenziale per l’Europa, sia per gli evidenti impatti sulla nostra sicurezza individuale e collettiva, sia perché in esso si giocherà una parte rilevante della partita per gli equilibri globali futuri. Dobbiamo perciò esserne protagonisti. Infatti, la traiettoria geopolitica regionale a cui assistiamo e le dinamiche emergenti in campo tecnologico, energetico ed economico ci impongono delle scelte a garanzia della nostra sicurezza, e molte di queste sono inequivocabilmente correlate alla direzione strategica meridionale.

Per quanto riguarda i nostri competitor globali, relativamente alla Russia, alla presenza militare ormai stabile in Siria ed in Libia, si accompagna la strategia industriale di Mosca nel settore dei sistemi di armamento, con un sempre maggiore attivismo sui mercati della Regione. Una modalità di azione che amplifica in maniera significativa l’estensione dell’influenza della Federazione nel bacino mediterraneo, anche attraverso la creazione di affiliazioni di lungo termine. Ancora più a meridione, mi riferisco qui al Sahel, con l’eccezione forse del Niger, sembra perpetuarsi una tragica instabilità istituzionale e le compagnie private, riconducibili alla strategia ibrida di Mosca, tentano di sostituirsi ai partner internazionali quali provider di formazione e addestramento, oltre a supportare direttamente le forze di sicurezza locali nelle attività di natura cinetica.

La Cina, dal canto suo, prosegue senza sosta un’efficace azione di penetrazione nel bacino mediterraneo, continuando anche in quest’area quanto già in corso da anni nei quadranti africani e mediorientali. Un approccio che si concretizza specialmente negli ambiti economici e commerciali, attraverso i quali Pechino persegue i propri obiettivi strategici, ma che non esclude futuri risvolti nella dimensione militare. La crisi afgana, i cui esiti devono essere oggetto di una imprescindibile approfondita lettura, ha il potenziale per dare nuovo vigore, soprattutto in termini motivazionali, alle organizzazioni terroristiche che compongono la galassia jihadista che in questo quadrante sembrano aver trovato le condizioni migliori per proliferare dopo la sconfitta militare subita nel levante.

Aggiungerei, quale ulteriore stimolo alla riflessione, la necessità di considerare il cambio impostato dalle recenti amministrazioni americane in termini di attenzione prevalente alla Regione Indo-pacifica. Un adattamento che risente di una nuova stagione di competizione tra potenze che, pur in presenza di una conferma dell’impegno statunitense nell’area euro-atlantica, richiede certamente un maggiore impegno dell’Europa anche nel settore della sicurezza e della difesa, che deve poggiare necessariamente su una chiara volontà politica, accompagnata da un adeguato livello di autonomia strategica e da un conseguente impiego di tutti gli strumenti a nostra disposizione.

Su questo punto voglio essere molto chiaro: la promozione dello sviluppo e dell’acquisizione di capacità militari europee, che l’Italia persegue con convinzione, deve essere però interpretata quale naturale e coerente azione di rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, finalizzato a consentire all’Europa di contribuire in maniera sostanziale ed efficace alla sicurezza e alla stabilità globale. In questo senso va letto il nostro impegno al rafforzamento tra l’Alleanza e l’Unione, quale conferma del principio di complementarietà con la Nato e dell’indissolubilità del solido rapporto transatlantico, che vede nell’Alleanza Atlantica il pilastro della nostra sicurezza collettiva.

Concludendo, posso affermare che l’Italia si sta adoperando attivamente per promuovere l’adattamento della Nato al fine di renderla più adeguata all’evoluzione dello scenario geopolitico e così in grado di affrontare le sfide provenienti da tutte le direzioni strategiche, incluso il sud, come risulta evidente dal percorso che abbiamo già intrapreso per la revisione del Concetto strategico.

Al contempo, l’Unione europea non può sottrarsi alle responsabilità derivanti dal ruolo politico a cui aspira e la presidente (Ursula von der Leyen, ndr) lo ha chiarito ineccepibilmente nel recente “Discorso sullo Stato dell’Unione”. Il lavoro sulla Bussola strategica, che concluderemo nei prossimi mesi, rappresenta una grande opportunità per l’Europa. Dovremo tenere alto il livello di ambizione, pur con un approccio realistico e concreto. Non dobbiamo tendere a un accordo al ribasso ma anzi credo che sia essenziale fare in modo che il nostro lavoro condiviso abbia un chiaro orizzonte politico e una visione comune: analisi delle minacce, una agenda politica condivisa, costruzione di capacità comuni e volontà di utilizzarle come Unione sono gli elementi qualificanti di una vera Difesa europea.

Certamente, in questa nostra riflessione comune non possiamo prescindere da una piena consapevolezza della valenza che il vicinato meridionale ha sia in termini di opportunità che di rischi per la sicurezza qualora si ignorassero le sfide che proprio da lì provengono: minaccia terroristica, squilibri demografici, pressione migratoria e cambiamenti climatici e presenza di competitors internazionali. È proprio in questa Regione, a mio avviso, che l’Unione europea può mettere in campo le sue specificità in termini di intervento che abbracci non solo la sfera di sicurezza ma anche aspetti economici e sociali essenziali per una stabilità duratura.

Da un punto di vista italiano, l’azione del governo in termini di impiego delle nostre Forze armate, quale strumento di importante rilievo per la postura internazionale del Paese, rappresenta la volontà di un contributo concreto alla sicurezza euro-atlantica. Un approccio che si sostanzia da un lato attraverso la condivisa necessità di supportare i nostri alleati lungo il fianco Est contribuendo alle principali attività di deterrenza e difesa, quali la Enhanced Forward Presence e la Baltic Air Policing. Dall’altro dall’esigenza di dare risposte concrete a sud, nel Mediterraneo, in termini di stabilizzazione, capacity building, sicurezza marittima e consapevolezza della situazione strategica e tattica.



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