La politica italiana ritornerà presto in primo piano, con tutte le sue incognite. Il prossimo appuntamento è ovviamente il più importante: l’elezione a fine gennaio del Presidente della Repubblica. E lo scenario che si preannuncia è a dir poco caotico e confuso
Superate queste convulse giornate di impegni internazionali, fra Roma e Glasgow, la politica italiana ritornerà in primo piano, con tutte le sue incognite. Non la politica governativa che, pur con molte e inevitabili difficoltà, viaggia sui binari sicuri sorvegliati dal presidente del Consiglio. Piuttosto la politica dei partiti, sempre più conflittuale e per certi aspetti inconcludente come hanno dimostrato le ultime vicende relative al decreto Zan.
E che hanno esacerbato ancor più i rapporti fra partiti che si guardano in cagnesco (e sono persino percorsi da linee di frattura interne). Il prossimo appuntamento è ovviamente il più importante: l’elezione a fine gennaio del Presidente della Repubblica. E lo scenario che si preannuncia è a dir poco caotico e confuso. Un vero e proprio risiko. Provo a mettere un po’ di ordine.
1. Mario Draghi, anche se volesse correre per il Quirinale, rischia forte e comunque, con molta probabilità, non sarebbe eletto con una maggioranza larga come la sua statura merita (né tantomeno è plausibile che lo sia da una sola parte politica). Il fatto è che in campo grillino, ma non solo, in molti nel segreto delle urne non lo voterebbero perché subito dopo si andrebbe quasi naturalmente al voto politico anticipato, con l’impossibilità di aver vista maturare per molti parlamentari la pensione e con la possibilità più che concreta di non essere rieletti (per il ridimensionamento dei Cinque Stelle, che rappresentano in questo parlamento il più folto agglomerato di homines novi, ma anche, discorso che vale per tutti, la significativa diminuzione del numero dei parlamentari).
Una maggioranza larga e conflittuale come l’attuale non è infatti proponibile con un altro presidente dl Consiglio. E un governo con una maggioranza simile a quella del secondo governo Conte sarebbe altrettanto difficilmente realizzabile per l’impossibilità, almeno in apparenza, di farvi convergere una Italia Viva ormai sempre più lontana dall’asse grillo-lettiano.
2. Se Draghi resta a Palazzo Chigi, come fra l’altro chiede anche la logica e il buon senso (c’è un piano di ripresa da portare a termine e attualmente nessun altro italiano ha tanta credibilità e reputazione a livello internazionale da poter fare da garante), chi eleggerà il nuovo capo dello Stato? È evidente che al Paese converrebbe una maggioranza larga, un nome veramente bipartisan ed eletto già ai primi turni con maggioranza assoluta (come fu per Carlo Azeglio Ciampi che non a caso fu uno dei presidenti più imparziali che abbiamo avuto, nonostante la sua forte caratterizzazione politica nella sinistra azionista).
Con il clima attuale, esacerbato dalle vicissitudini connesse all’affossamento del ddl Zan, non è dato sperare che ciò accada. Fato sta, però, che nemmeno i due fronti contrapposti di destra e sinistra hanno i voti necessari, a partire dal quarto turno (quando la maggioranza potrà essere relativa), per eleggere da soli il presidente (e dovrà rinunciarvi soprattutto la sinistra, che pure ha sempre espresso negli ultimi decenni Presidenti che venivano dalle sue fila).
Da qui il lavoro su candidati in grado di convincere i “centristi”, compresi quelli del partito renziano, e anche di sfondare un po’ nel campo avversario. In questa ottica, candidature di bandiera, fatte anche per tener compatti i propri, come possono essere quella di Paolo Gentiloni a sinistra o di Silvio Berlusconi a destra, dovrebbe cedere il posto a nomi più “inclusivi” (anche se Berlusconi le tenterà tutte e i suoi tentativi non vanno sottovalutati e comunque la destra non potrà che seguirlo fino in fondo: l’esito a sorpresa è sempre dietro l’angolo).
3. Potrebbe comunque anche questa volta crearsi lo stesso scenario del 2013 e cioè un impasse assoluta del nostro sistema politico che impose a Giorgio Napolitano un “ripensamento” e l’accettazione di un secondo mandato. Sarebbe questa volta tutti i partiti disposti a tanto? E Sergio Mattarella accetterebbe di mettere in discussione quella che per il momento sembra una sua ferma convinzione, e cioè quella di iniziare una tranquilla e serena vita da pensionato.